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Siria, seggi aperti per le presidenziali: vittoria scontata per Assad

03 giugno 2014 | 08.47
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Le elezioni, indette dal regime, sono state bollate da gran parte dell’opposizione e della comunità internazionale come una “farsa”. Secondo i dati del ministero siriano degli Interni, gli elettori sono 15,8 milioni. Ma in base ai dati delle Nazioni Unite, circa il 40% della popolazione pre-guerra, che era pari a 22,4 milioni di abitanti, è fuggita

(Foto Xinhua)
(Foto Xinhua)

Gli elettori siriani sono chiamati oggi alle urne per le controverse elezioni presidenziali indette dal regime e bollate da gran parte dell’opposizione e della comunità internazionale come una “farsa”. Le elezioni si svolgono infatti mentre è ancora in corso una guerra civile, che finora ha fatto 160mila vittime. In intere aree del Paese che non sono sotto il controllo del regime, inoltre, il voto non potrà tenersi.

I seggi hanno aperto alle sette ora locale (le otto in Italia) e chiuderanno alle sette di sera. Secondo i dati del ministero siriano degli Interni, gli elettori sono 15,8 milioni, chiamati a votare in 9.601 seggi aperti in tutto il paese. Ma in base ai dati delle Nazioni Unite, circa il 40% della popolazione pre-guerra, che era pari a 22,4 milioni di abitanti, è fuggita dalla propria terra per rifugiarsi all’estero o in altre zone del Paese.

Il dato sui seggi, inoltre, non tiene conto delle vaste aree, soprattutto nel nord, che sono sotto il controllo dei ribelli, che non hanno permesso l’allestimento dei seggi. Il regime, tuttavia, parla di quella di oggi come di una “giornata storica”, in cui per la prima volta si tengono in Siria elezioni multipartitiche. Due sono gli sfidanti del candidato favorito, il presidente uscente Bashar al-Assad: Hassan al-Nouri e Maher Hajjar, due politici di secondo piano legati a una ‘opposizione di regime’.

Per i ribelli si tratta di “burattini”, di “attori ingaggiati dal regime in queste elezioni vergognose”. Gli oppositori, come gran parte della comunità internazionale, hanno sempre affermato che l’unico passo che Assad poteva compiere per rendere credibile il processo di transizione politica era quello di dimettersi. Una prima fase delle elezioni presidenziali si è già svolta la scorsa settimana, quando hanno votato gli espatriati. Il voto era consentito non a tutti i profughi, ma solo a chi si trovasse all’estero con documenti regolari. Solo una manciata di Paesi, dal Libano alla Giordania, dalla Russia all’Iran, hanno inoltre acconsentito a organizzare le elezioni sul proprio territorio. Nonostante questo, i toni del regime sono già quelli del trionfo: per il voto all’estero, il premier Wael al-Halaqi ha infatti parlato ieri di una partecipazione al 95% degli aventi diritto.

E centinaia di siriani residenti in Libano si sono accalcati alla frontiera per rientrare nel loro Paese e partecipare alle elezioni, sfidando le autorità di Beirut che hanno minacciato la revoca del loro status di rifugiati se rientrano in Siria. Il ministro libanese degli Interni, Nouhad Machnouk, ha spiegato ieri che il divieto imposto ai siriani di rientrare in patria dopo il primo giugno (pena la perdita dello status di rifugiato) è stato deciso per motivi di sicurezza. Un divieto - definito un errore dall’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati - secondo i media libanesi, ufficiali e non, ignorato da molti siriani che parlano di un grande traffico presso i principali valichi.

Le elezioni presidenziali non sono altro che una “licenza di uccidere” riconosciuta al presidente Bashar al-Assad, ha detto Noura al-Ameer, vice presidente della Coalizione nazionale, principale raggruppamento dell’opposizione all’estero. Mentre parla di una “grande vittoria nazionale” quella alla quale si sta assistendo oggi in Siria, dove per la prima volta si svolgono elezioni presidenziali con più candidati, Hassan al-Nouri, uno dei due sfidanti.

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