Con il ritorno dei 'tweet' personali di John Kerry la "Twitter diplomacy" raggiunge a Washington i massimi livelli. Riattivato il suo account, proprio in occasione del suo primo anno a Foggy Bottom, il segretario di Stato, che ha ironizzato sul fatto che ha impiegato un anno a convincere il dipartimento di Stato a farlo twittare, ha subito cominciato a usare i 'cinguettii' per diffondere dichiarazioni politiche, come è ormai d'uso in tutto il mondo, come una condanna per un bombardamento siriano ad Aleppo, seguito qualche ora più tardi dal più tradizionale, e lungo, comunicato stampa.
Ora Kerry potrà far sentire la sua voce su Twitter, come da tempo fanno il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Susan Rice, e l'ambasciatore Usa all'Onu, Samantha Power, che scrivono regolarmente post in risposta delle varie emergenze internazionali. Twitter è diventato lo strumento principe anche per gli ambasciatori americani, ai quali ora il dipartimento di Stato chiede di avere una visibile attività sui social network. Michael McFaul, l'accademico di Standford diventato ambasciatore in Russia ieri ha annunciato, sul suo blog, che lascerà l'incarico. "Non credere che se torni in California non ti chiamerò per consigli", ha subito risposto, via Twitter, Kerry. Anche Caroline Kennedy, ambasciatore in Giappone, ha iniziato via Twitter la sua campagna contro la caccia ai delfini.
Ma c'e' chi sottolinea come sia diverso, e più delicato, quando a twittare sono i vertici della diplomazia Usa: "la politica estera americana è probabilmente troppo piena di sfumature per essere espressa in 140 battute" ricorda Douglas Frantz, vice assistente di stato per 'public affairs', sottolineando che lo strumento "sarà usato per comunicare un messaggio veloce ed amplificare quelli già esistenti". E che Twitter "non sarà mai un sostituto di una riunione o di una telefonata".
