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Vescovo Mosul: ''Iraq non è più per cristiani, paghiamo tensioni Iran-Usa''

18 marzo 2023 | 13.50
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''I cristiani sono passati da oltre un milione vent'anni fa a 300mila. E c'è il rischio di nuove emigrazioni per le libertà negate, ultime quella della vendita e dell'importazione di alcolici''

Vescovo Mosul: ''Iraq non è più per cristiani, paghiamo tensioni Iran-Usa''

A vent'anni dall'invasione americana, l'Iraq ''non è più un Paese per cristiani''. E ''la popolazione continua a pagare la tensione tra Stati Uniti e Iran'', ovvero ''la presenza di gruppi armati che agiscono per conto di altre nazioni'' come anche ''la corruzione diffusa all'interno di un governo'' che ''limita sempre di più le libertà''. In primis ''le libertà dei cristiani costringendoli a emigrare''. Lo dice a malincuore ad Adnkronos il vescovo di Mosul, Thabet Yousif Mekko, descrivendo un Paese che ''negli ultimi vent'anni è diventato sempre più instabile dopo la guerra'', che ''ci ha portato tanti guai''. Un Paese che, prima della guerra americana contro il regime di Saddam Hussein, contava ''oltre un milione di cristiani, ora ce ne sono circa 300mila''. E non è ancora finita perché ''i cristiani vogliono vivere liberi, qui non possono più. Vogliono costringerci a emigrare''. Prima, ''dal 2005 fino al 2014, i cristiani sono stati attaccati dai gruppi armati, dalle organizzazioni come al-Qaeda e Isis, che hanno voluto svuotare dei cristiani le grandi città come Baghdad e Mosul. Li hanno cacciati dalla Piana di Niniveh, quasi il 45 per cento di coloro che vivevano lì se ne sono andati. Hanno voluto le loro case, ma anche prendere le loro posizioni negli uffici dello Stato''.

Insomma, spiega il religioso, in un Iraq che è ''vittima di corruzione e controllato dai gruppi armati'', dove ''l'aspetto religioso fondamentalista ha la meglio su quello civile'', le ''condizioni di vita sono peggiorate per tutti''. Per i cristiani di più. ''I cristiani sono vittime di una guerra politica fondamentalista tra sciiti e sunniti'', spiega Mekko che cita la recente legge che vieta l'importazione e la vendita di alcolici in Iraq. Nei confronti di questa legge, che prevede una multa fino a 25 milioni di dinari iracheni e vieta la vendita, l'importazione o la produzione di alcolici, i deputati cristiani del Movimento Babylon, che in Parlamento conta cinque seggi, hanno presentato ricorso alla Corte suprema parlando di incostituzionalità e limitazione delle libertà. ''I cristiani vogliono vivere in un clima di libertà, ma non è solo questo. Alcuni di lavoro dipendono dal punto di vista lavorativo da questi prodotti. Ho ricevuto l'appello di centinaia di cristiani di un villaggio pronti a emigrare se non potranno più commercializzare con gli alcolici'', ha spiegato il vescovo caldeo.

In generale, prosegue Mekko, l'Iraq è ''ora vittima di gruppi che non sanno governare, non progettano per il futuro e benedicono la corruzione, l'accettano di buon grado''. L'Iraq, quindi, è ''visto come un Paese che dipende solo dal petrolio e non c'è lavoro. Nemmeno per quanto riguarda l'agricoltura, colpita duramente dalla siccità''. Il cambiamento tentato dall'esterno ha quindi fallito, ma anche dall'interno ''i giovani hanno provato a cambiare il sistema, hanno provato attraverso la strada delle elezioni, ma l'affluenza alle urne è stata molto bassa, chi ha vinto alla fine si è ritirato''. Inoltre, il vice vescovo di Mosul denuncia ''controlli sui mass media'', ma anche sui ''cristiani in Parlamento. La situazione è davvero molto complicata. Tante volte abbiamo chiesto al governo di vedere riconosciuti i nostri diritti, ma ancora non c'è nulla di concreto''.

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