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Napolitano, Il punto di vista di Follini: "Comunista anomalo, mantenne faticoso equilibrio"

24 settembre 2023 | 10.11
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"Fu protagonista di una storia che oggi altre generazioni dovranno incaricarsi prima o poi di portare da qualche parte"

Marco Follini (Fotogramma/Ipa)
Marco Follini (Fotogramma/Ipa)

(di Marco Follini) - "Giorgio Napolitano è stato il primo dirigente comunista a volare negli Stati Uniti, il primo ad essere scelto come capo dello Stato, e anche il primo presidente a venire, sia pure riottosamente, rieletto una seconda volta.

Furono le sue qualità a meritargli la presidenza. Prima, era stato presidente della Camera e ministro degli Interni e tutte e due le volte si era guadagnato riconoscimenti più ampi di quelli che gli venivano dalla sua sola parte. Ma per un curioso paradosso furono soprattutto le sue sconfitte a propiziare la sua affermazione. Quella sua caratteristica di comunista anomalo, più volte battuto nella contesa di partito, meno assertivo e dogmatico di molti altri suoi compagni, gli guadagnò infatti un consenso più largo fuori da quelle mura. Confermando una volta di più che al Quirinale ci si arriva più facilmente vantando qualche battuta d’arresto piuttosto che inanellando una serie di ingombranti successi.

Ebbe un destino di minoranza, insomma, Napolitano. Fu minoritario nella sua qualità di dirigente e di militante del Pci, una forza che gli equilibri geopolitici del tempo (e i voti degli elettori, soprattutto) avevano confinato in un ruolo di opposizione -sia pure un’opposizione tenuta grandemente da conto. Fu minoritario all’interno del suo stesso partito, a cui suggeriva vanamente di dialogare con i socialisti quando la gran parte della nomenklatura scommetteva piuttosto di poter sbaragliare Craxi in uno scontro al calor bianco. E finì per essere minoritario anche nel tribolato contesto degli ultimi anni, mentre il paese scivolava sempre più nella spirale del populismo e lui si dedicava con sempre minor fortuna a cercare di scuotere e sorreggere i partiti spingendoli verso quelle riforme che non sarebbero mai giunte a maturazione.

Curioso destino, questo. E cioè di trovarsi in difficoltà, per opposte ragioni, sia nel popolo che nel palazzo. Difficoltà che egli affrontò con scrupolo costituzionale, senza mai venir meno ai suoi obblighi e alle regole del sistema. Ma anche, si intuisce, con una certa amarezza che il suo riserbo gli impedì di esprimere con troppa veemenza.

Mi sono chiesto spesso come convivessero nel suo animo quelle due vite. Quella del leader politico, dedicato ad animare la controversia. E quella della figura istituzionale, chiamato a ricucire le controversie altrui. Si può dire che egli le abbia tenute ben distinte, come era suo dovere. Ma è anche probabile che quel dovere gli abbia lasciato dentro una nota di lieve, perplessa amarezza.

Il fatto è che il capo dello Stato è sempre una figura in bilico. Egli infatti non può mai restare troppo solo, né tenersi troppo sdegnosamente lontano dalla calca senza correre il rischio di predicare nel deserto. Ma egli non può neppure mai confondersi con la quotidianità politica, né restare impigliato nella rete dei governi e dei partiti, né lasciarsi assimilare a una quotidianità che a quel punto diventerebbe la sua stessa trappola.

Napolitano affrontò queste sfide e corse questi rischi tenendosi sul filo di questo faticoso equilibrio. Nel 2011 guidò la politica verso Monti e il suo governo d’emergenza. E nel 2013 tentò di guidare il Parlamento verso gli esiti di una riforma lungamente evocata e ancor più lungamente lasciata in sospeso. In entrambi i casi si trovò a far leva sul partito che sentiva meno lontano, il Pd. La riuscita della prima impresa lo costrinse suo malgrado al secondo settennato. Ma forse gli rese poi più difficile portare a compimento la seconda impresa. Cosa che lo indusse infine ad accorciare di sua iniziativa quel suo secondo, sofferto settennato.

Ora che sulla sua vita cala il sipario ci sarà modo di tornare sulla sua figura e sugli anni di cui fu protagonista. Con una avvertenza, però. Che nella storia di una grande democrazia come la nostra -grande e assai complicata- non c’è mai un deus ex machina che governa i processi politici da solo. Ognuno infatti è sempre figlio del suo tempo più di quanto ne sia l’autore. Vale anche per Giorgio Napolitano, che fu protagonista di una storia che oggi altre generazioni dovranno incaricarsi prima o poi di portare da qualche parte".

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