cerca CERCA
Venerdì 26 Aprile 2024
Aggiornato: 02:01
10 ultim'ora BREAKING NEWS

IL TAPPO DEL VINO

Arrivano “Gli Svitati”. Inizia la rivoluzione del tappo a vite

15 marzo 2023 | 09.31
LETTURA: 5 minuti

A quelli che considerano il servizio del vino un rito sacro e il tappo di sughero un elemento tradizionale indispensabile, loro rispondono che al “pop” del sughero preferiscono il “cric” del tappo a vite.

Arrivano “Gli Svitati”. Inizia la rivoluzione del tappo a vite

Loro chi? “Gli Svitati”! Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa: cinque cantine d’eccellenza, pioniere del tappo a vite in Italia, che hanno deciso di far sentire la propria voce su un argomento ancora delicato e controverso. L’obiettivo? Svitare i pregiudizi.

Lunedì 6 marzo, nell’elegante Villa Sorio di Gambellara, in provincia di Vicenza, si è tenuta la presentazione ufficiale del gruppo che riunisce cinque vignaioli e amici di vecchia data, i quali, dopo decenni di prove e di studi, sono arrivati alla conclusione che il tappo a vite sia una chiusura migliore rispetto al tradizionale tappo di sughero. Migliore da molti punti di vista: garantisce il mantenimento delle qualità organolettiche del vino e la corretta evoluzione dello stesso nel tempo, grazie alla micro-ossigenazione. È una chiusura giovane e pratica, si può richiudere ed è rispettosa dell’ambiente, perché l’alluminio è riciclabile all’infinito.

Questi e molti altri argomenti sono stati approfonditi nel corso del convegno, durante il quale sono intervenuti anche alcuni esperti, tra cui il professor Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. L’ultima parola, però è stata lasciata al vino. A conclusione dei lavori, infatti, si è tenuta un’interessante degustazione comparativa. Ogni “svitato” ha presentato una propria referenza - lo stesso vino, della stessa annata - con le due diverse chiusure: sughero e vite. Lo scopo era dimostrare quanto fosse diversa l’evoluzione dei vini nel tempo a seconda del tappo impiegato. Le differenze, in effetti, erano davvero notevoli. Eppure ci sono ancora molti pregiudizi, nonostante il tappo a vite si stia diffondendo sempre di più e ci siano mercati in cui è diventato lo standard. Persino l’Europa Occidentale, che rappresenta lo zoccolo duro, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021, con un 22% in Italia (dati di Stelvin e Guala, aziende leader nella produzione di tappi a vite).

L’invito degli “svitati” è proprio quello di allargare gli orizzonti, di guardare oltre i confini, soprattutto mentali, del nostro Paese. Come hanno fatto loro quarant’anni fa, quando, viaggiando per lavoro, si sono resi conto che all’estero il tappo a vite stava diventando di uso comune e hanno iniziato a chiedersi se il tappo di sughero fosse davvero la chiusura più performante per i propri vini.

“La mia storia di “svitato” comincia negli USA negli anni Novanta - racconta Graziano Prà, produttore di Soave ma anche di grandi rossi della Valpolicella - ero in Colorado e andavo a vendere vino, ma ero molto deluso perché, tappando con il sughero, mi capitava di aprire alcune bottiglie delle mie e di non riconoscerle nemmeno. Poi un giorno, ad Aspen, mi sono imbattuto in un Sauvignon Blanc di Cloudy Bay con tappo a vite: costava 30 dollari. Mi sono reso conto che non veniva considerata una chiusura per vini cheap. Lì il pregiudizio non esisteva”.

“Sembra assurdo ma la cosa peggiore che ti possa capitare con il sughero non è che la bottiglia sappia di tappo - spiega Franz Haas Junior durante la degustazione - perché quello è un difetto che riconoscono tutti. Il vero problema sono le altre deviazioni, perché sono subdole, al consumatore sembra semplicemente che il vino non sia buono e attribuisce la colpa al produttore. Un danno di immagine immenso”.

Dello stesso parere è Silvio Jermann, “svitato” della prima ora, il quale, nella sua lunga carriera di vignaiolo, di tabù ne ha infranti tanti. Il suo Vintage Tunina, giudicato nel 2016 il più grande vino bianco italiano nel mondo, è nato negli anni Settanta. Jermann ha creato questo uvaggio inedito (Sauvignon, Chardonnay, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit) e poi l’ha chiuso con un tappo a vite, rendendolo ancora più iconico. Il suo punto di vista sul confronto tra le due tappature è interessante: “Non è che il tappo di sughero dia sempre esiti negativi, in alcuni casi regge bene il tempo - spiega - possiamo dire che il tappo di sughero quando fa passare poco ossigeno lavora come il tappo a vite. Il problema del sughero è che spesso di ossigeno ne passa troppo e allora le bottiglie sono da buttare”.

Un altro grande “rivoluzionario” è Walter Massa che negli anni Settanta ha preso in mano l’azienda di famiglia sui Colli Tortonesi e, mentre tutti utilizzavano uva Cortese, ha deciso di recuperare un vitigno dimenticato come il Timorasso, facendolo diventare portabandiera dell’area di Derthona. Poi, negli anni, a questo bianco ha affiancato vari Cru, ma anche grandi rossi da Barbera, Croatina e Nebbiolo. Massa, che oggi chiude la maggior parte dei suoi vini con tappo a vite, a Villa Sorio ha scelto di far degustare il suo Monleale 2016: “Ho portato un rosso - esordisce scherzosamente - altrimenti pensate che io produca solo bianchi. Nel corso degli anni mi hanno dato del folle tante volte per i miei vini e per le mie scelte, ma va bene così, come dice Vasco Rossi: “La vita è un brivido che vola via. È tutto un equilibrio sopra la follia”. Il vino idem”.

Nemmeno Pojer ha mai avuto paura delle sfide, l’ultimo degli “svitati” in ordine di arrivo. Produrre vini pregiati tra la Valle dell’Adige e la Valle di Cembra non era una cosa scontata. Ma il suo amico Sandri aveva ereditato due ettari dal padre proprio lì, sulla collina di Faedo. Così nel 1975 è nata l’azienda agricola Pojer e Sandri. La loro scelta del tappo a vite risale a tre anni fa: “All’inizio il problema era il costo delle macchine, ma dovevamo fare i conti anche con il mercato: noi vendiamo per l’80% in Italia e qui ci sono ancora dei preconcetti nei confronti di questa tappatura. Per cercare di sradicarli del tutto, quest’anno usciremo con tre selezioni che si chiamano Monogramma: mettiamo il tappo a vite ai nostri vini più importanti”.

È interessante ascoltare il punto di vista di questi cinque grandi produttori, veri e propri punti di riferimento, ciascuno per la propria zona e per le tipologie prodotte. Cinque storie così diverse, eppure ciascuno di loro, seguendo il proprio personale percorso, è arrivato alla medesima conclusione. Viene spontaneo chiedersi come mai il pregiudizio nei confronti del tappo a vite sia ancora così radicato. L’estetica di un gesto rituale come quello dell’apertura della bottiglia e del servizio del vino può essere davvero così importante? Ci sono altre valide ragioni per osteggiare questa tappatura? Oppure è solo la tradizione che cerca invano di mettersi in salvo dalle ondate del progresso, come se fosse possibile arginare il mare, come se si potesse mettere un tappo al futuro? Staremo a vedere. Intanto Gli Svitati hanno lasciato il loro appello: “Amici vignaioli unitevi ai nostri giri di vite!”.
Adnkronos -Vendemmie

Riproduzione riservata
© Copyright Adnkronos
Tag
Vedi anche


SEGUICI SUI SOCIAL



threads whatsapp linkedin twitter youtube facebook instagram
ora in
Prima pagina
articoli
in Evidenza