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Venezia

Assayas: "Le ceneri della Guerra Fredda sono ancora accese"'

01 settembre 2019 | 15.20
LETTURA: 4 minuti

Il regista in concorso al Lido con 'Wasp Network', ambientato tra Cuba e Miami e basato su una storia vera

Assayas:

dall'inviata Antonella Nesi

"I conflitti della Guerra Fredda hanno definito la mia generazione e delineato i contorni del presente. Le ceneri sono ancora accese e ci si può facilmente bruciare. Tuttavia, mi pare che oggi la distanza storica permetta di discuterne. Non certo con distacco, ma con la libertà e il rigore di un’analisi magnanima, seppur prudente. Senza farsi ingannare dalle maschere dell’ideologia". Così il regista francese Olivier Assayas parla del suo 'Wasp Network', il film che presenta oggi in concorso alla Mostra dell Cinema di Venezia, interpretato da Penelope Cruz, Edgar Ramírez, Gael García Bernal, Wagner Moura, Ana de Armas e Leonardo Sbaraglia. "Mi interessa la storia moderna vista attraverso la lente della sua umanità", sottolinea il regista.

Il film, tratto dal romanzo 'Os últimos soldados da Guerra Fría' di Fernando Morais e ambientato tra l’Avana e Miami nei primi anni '90, racconta la storia di René González (Edgar Ramirez), pilota di linea cubano, che ruba un aereo e fugge dal Paese, lasciando moglie (Penelope Cruz) e figlia. Comincia una nuova vita a Miami, presto raggiunto da altri dissidenti cubani, tutti impegnati nella destabilizzazione del regime di Castro. In realtà molti di loro sono degli agenti cubani con il compito di infiltrare e boicottare i gruppi anticastristi in Florida.

"La politica, come Shakespeare scrisse a proposito della vita, è un racconto narrato da uno stolto, pieno di rumore e furore, che non significa nulla. Ma è di questa passione che gli uomini vivono. E muoiono", aggiunge il regista.

Il regista ammette di aver incontrato una certa diffidenza in alcuni dei veri protagonisti della vicenda che ha incontrato per definire la sceneggiatura e nei cubani in generali ma non veri e propri ostacoli alla realizzazione del film: "Abbiamo avuto la fortuna di incontrare due protagonisti di questa storia. Ma non volevano che facessimo questo film. Erano sospettosi di un francese che trattasse la loro storia. Per loro quelli sono conosciuti come i 5 eroi cubani. A quel punto ho pensato che avremmo avuto dei vincoli o delle pressioni ma invece non abbiamo avuto nessun impedimento. Non c’erano spie, magari siamo stati monitorati, ma senza conseguenze per il film che volevamo fare. Abbiamo avuto accesso alle barche, agli aerei, a luoghi dove nessuna altra troupe cinematografica era mai stata. La lavorazione del film, tra l'altro, è avvenuta durante un periodo di tensione tra Stati Uniti e Cuba, cosa che si percepiva". Per il regista, "la posizione degli Stati Uniti è come sempre ambivalente ed ambigua: nel film abbiamo un gruppo di spie cubane che cerca di fermare un gruppo terroristico e gli Stati Uniti arrestano i primi piuttosto che i secondi". In Florida, sottolinea, "chiunque voglia conquistare il potere deve essere amico della comunità cubana".

Penelope Cruz ha trovato sorprendente che ci sia ancora tanta diffidenza e paura di parlare a Cuba: "Mi preoccupa, perché nel 2019 in qualsiasi luogo del mondo una persona dovrebbe sentirsi libera di dire quello che prova". E più in generale aggiunge: "Il mondo sembra sempre più diviso. Mette paura questa tendenza verso un individualismo sempre più spinto". Per combatterlo, a suo avviso, "il rapporto con la tecnologia andrebbe rivisto. Ci sono bambini - denuncia - che non imparano a comunicare, a rapportarsi con gli amici".

A chi gli chiede come abbia approcciato al suo personaggio, che è una fedelissima del castrismo: "Non scelgo sempre personaggi con cui sono d’accordo al 100%. Provo sempre a capirli, questo sì, ma non devo necessariamente pensarla come loro. Credo fosse interessante esplorare il carattere di questi personaggi e amo la libertà con cui Olivier racconta le storie".

Edgar Ramirez, il cui personaggio si trova a lasciare la propria famiglia, facendo pensare anche ai suoi cari di essere un traditore, per rimanere in realtà fedele alla sua 'coperura', ammette: "Non so se ne vale la pena per un uomo far una cosa del genere. Ma è proprio per questo che il film è così interessante. Essere una spia ha a che fare con uno sdoppiamento della personalità, sei condannato ad essere sempre qualcun altro. Noi attori siamo privilegiati perché per lavoro facciamo finta di essere qualcun altro, ma è solamente finzione. Le spie no, nel migliore dei casi sono condannati ad andare in prigione".

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