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'Avanti, siam renzisti', si fa strada la nuova ideologia italiana

29 giugno 2014 | 18.05
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Politologi, storici e politici: focus sul nuovo modello italiano, oltre la rassegnazione al declino e la resistenza al cambiamento dei vecchi apparati. Campi: ''Renzi aspira a essere qualcosa di più della gestione di un pacchetto di riforme''. Sabatucci: ''Ci sono le condizioni per cui si affermi un nuovo senso comune''

'Avanti, siam renzisti', si fa strada la nuova ideologia italiana

''Berlusconi non si è mai posto il problema di radicare il suo progetto politico in una cultura nazionale diffusa. Renzi sì. Anche se si è qualificato come lo sfidante alla sinistra-sinistra, Renzi appartiene comunque a una tradizione politica attenta al consenso ideologico-culturale oltre il semplice dato numerico ed elettorale. E poi, è fiorentino. Ha scritto libri. La chiave 'rinascimentale' che ha spesso usato per raccontare il suo progetto per il Paese prova che il 'renzismo' aspira a essere qualcosa di più della gestione amministrativa di un pacchetto di riforme". Il politologo Alessandro Campi è convinto che, al di là del quotidiano bollettino governativo e parlamentare delle riforme, con i suoi alti e bassi, il "renzismo" esista, sia più strutturato di quel che si crede e abbia le potenzialità per proporsi come una sorta di nuova ideologia italiana, oltre la rassegnazione al declino e la resistenza al cambiamento dei vecchi apparati e delle burocrazie.

Per il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini, istituzionalmente preposta a mettere in moto un possibile New Deal italiano sul fronte cruciale dell'istruzione, "la forza dell'operazione politica di Matteo Renzi è stata quella di aver portato in superficie una aspettativa politico-culturale degli italiani che era lì da tanto tempo. Il recupero della consapevolezza di sé come Paese, la dimensione umanistica che ci ha fatto grandi".

Insomma, per la Giannini c'è una sensibilità collettiva nuova che obbliga a indicare nuove priorità. A cominciare, spiega il ministro, dalla rivalutazione nella scuola "della dimensione umanistica troppo a lungo negletta, della storia dell'arte, la musica, che sono le vocazioni che si devono recuperare insieme alla funzione sociale dell'insegnamento, vero perno del sistema formativo dei giovani".

Continua la Giannini: "La stessa scelta di un profilo come il mio (il ministro è linguista, già rettrice dell'Università per stranieri di Perugia, ndr), insomma di un ministro-umanista, dimostra consapevolezza di una partita culturale ampia. La differenza con il passato è che, oggi, il rapporto tra il futuro del Paese e le energie che possono venire dalla sua enorme tradizione e dalle sue radici culturali, sono chiare a tutti, fanno parte della percezione collettiva".

Edoardo Nesi, imprenditore, poi scrittore e vincitore dello Strega, ora in politica col Pd renziano, usa come metafora la sua esperienza professionale: "Vengo da una terra, la Toscana, e da un settore, il tessile, dove spesso le migliori idee arrivavano dagli operai che lavoravano alle macchine, che modificando una lavorazione hanno creato tessuti meravigliosi. Questo, secondo me, è il nocciolo del genio italiano: una sapienza non dottorale, non solo imparata sui libri, ma respirata insieme all'aria delle nostre città e costruita con un approccio artigianale".

Per anni, dice Nesi, "abbiamo guardato a modelli stranieri, per di più prendendoli 'a pezzetti', adesso è diffusa nel Paese una convinzione diversa, che si deve ripartire da sé. E la politica di Renzi a mio giudizio sta interpretando bene questo desiderio collettivo".

Lo storico Giovanni Sabatucci concorda sul fatto che le premesse perché si affermi un nuovo 'modello italiano' ci sono. A cominciare, dice, "dalle macerie di esperienze fallite alle nostre spalle, una condizione sulla quale può affermarsi un nuovo senso comune, un nuovo pensiero condiviso". Non è da sottovalutare neanche il risultato elettorale ottenuto da Renzi, che c'è stato in proporzioni inaspettate, "anche se si deve vedere se e quanto sia ripetibile". Il problema, però, è definire il "qualcosa", il "quid" che serve al Paese. "Alcuni, come Ernesto Galli della Loggia, lo individuano nella rinascita di un sentimento nazionale, che però è categoria in crisi e per di più in conflitto con gli ideali europei". Insomma, dare un perimetro al possibile New Deal italiano è impresa complicata.

"Di sicuro Renzi incarna una leadership innovativa. Per il resto, al momento mi accontenterei - spiega Sabatucci - che ci fosse una maggioranza solida, un governo efficiente, e poi vediamo... Anche il New Deal nacque da una serie di provvedimenti di successo, il resto arrivò dopo".

In un Paese che non crede più a nulla, stanco, che si è adattato alla cultura per cui 'ogni lasciata è persa', Renzi deve innanzitutto convincere gli italiani che il cambiamento non è uno slogan politico", osserva Giovanni Puglisi, Rettore della Iulm di Milano. Chi immagina un nuovo progetto italiano, "non può limitarsi a partire ne' da un cronoprogramma ne' da una sola persona, per quanto carismatica. Silvio Berlusconi e Romano Prodi fecero entrambi questo errore, e le loro stagioni si sono concluse come sappiamo".

Oggi, continua Puglisi, "il vero nemico del cambiamento che propone Renzi è il fatalismo e la rassegnazione che dominano nel Paese dopo aver visto fallire troppi progetti, troppe speranze dal '92 in poi". La nostra possibile, nuova frontiera "non si costruisce con il bilancino del farmacista, degli accordi con Forza Italia, Ncd o Sel, ne' con un solo nome, ma con una visione e uno slancio fondato su dieci, cento, mille nomi che 'contagino' gli italiani".

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