Indice globale della fame, Riva: "A Gaza carestia provocata dall’uomo"

A spiegarlo è l'editorialista di Domani e scrittore, alla presentazione dell’edizione 2025 dell’Indice Globale della fame (Global hunger index – Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi

Gigi Riva
Gigi Riva
14 ottobre 2025 | 11.44
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“Ho incentrato la prefazione che ho scritto per l’edizione italiana dell’Indice Globale della fame (Ghi) sul fatto che esiste un buco nero nel mondo ed è, evidentemente, la Striscia di Gaza, dove, per la prima volta dal Medioevo, abbiamo assistito a un'operazione ignobile, quella di affamare la popolazione, impedendo l’arrivo di cibo, per costringerla ad abbandonare la sua terra”. A spiegarlo è Gigi Riva, editorialista di Domani e scrittore, alla presentazione dell’edizione 2025 dell’Indice Globale della fame (Global hunger index – Ghi), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto da Welthungerhilfe (Whh), Concern worldwide e Institute for international law of peace and armed conflict (Ifhv). Quella che si è protratta negli ultimi due anni “è stata l'ultima escalation dopo massacri e, persino, pulizie etniche. Molta gente muore ancora di fame nel mondo, ma per motivi naturali, come i cambiamenti climatici, le catastrofi naturali o ‘semplicemente’ per l’assenza di cibo - spiega Riva, che nella sua lunga carriera è stato anche inviato di guerra per Il Giorno e L’Espresso - Ma questa è la prima volta in epoca moderna in cui è l'uomo a decretare” la carestia, “in cui è l’uomo che ha deciso di affamare un'intera fetta di popolazione, provocando anche la morte di diversi bambini” per malnutrizione.

Il buco nero di cui racconta Riva nella prefazione del Ghi non è relativo solo alla fame “ma anche all’informazione, perché le poche e parziali informazioni che abbiamo avuto rispetto a questa crisi alimentare le abbiamo avute dalle fonti locali e, soprattutto, dai giornalisti palestinesi, unici testimoni della stampa presenti a poter raccontare quando succedeva, dal momento che ai media internazionali era impossibile accedere al teatro di battaglia della Striscia di Gaza. Quasi 300 di loro sono morti nel fare il loro lavoro”. “C'è anche un buco nero morale - aggiunge - perché l'Occidente non ha difeso i suoi valori, ha permesso che tutto questo succedesse. Come ho aggiunto nella prefazione, quello di Gaza è il buco nero più evidente, che tocca più da vicino sia dal punto di vista della prossimità geografica che della coscienza, ma ce ne sono altri di buchi neri. Uno è il Sudan, dove c'è una guerra e la gente muore di fame, l'altro è la Somalia. Sono almeno sette i Paesi in cui la gente muore di fame a causa delle guerre”.

Tornando a parlare della situazione umanitaria che la popolazione gazawa ha vissuto per due anni, prima che Hamas ed Israele accettassero il recentissimo accordo di pace, l’ex direttore del Giornale di Vicenza spiega come si tratti della “prima volta che ci troviamo davanti ad una situazione del genere, ossia alla volontà di uccidere della gente con la fame, non permettendo di accedere agli aiuti alimentari” al punto da costringere la popolazione a pensare di andarsene “una delle delle prospettive era infatti quella di rendere la vita nella Striscia così impossibile da obbligare la popolazione ad abbandonarla per dislocarsi nel Sinai, piuttosto che in Giordania o in Libia. È la prima volta”, in epoca moderna, “che ci troviamo davanti all'accanimento dell'uomo sull'uomo” attraverso l’arma della fame. La percezione “di questo orrore è andata via via crescendo nella popolazione - commenta Riva - e credo che la cosa che più ha smosso le coscienze, come successo anche in altre guerre, è vedere le immagini dei bambini di Gaza. L'identificazione di quei bambini con i nostri figli ha fatto sì che esplodesse la protesta e in tutto il mondo si scendesse in piazza per dire ‘basta’. È incredibile se volete, persino un paradosso, che le proteste siano scoppiate non quando il massacro era ancora più vasto ma quando il tema è stato la fame”.

Una fame che a Gaza non uccideva solo attraverso la privazione del cibo ma anche con i proiettili: "Centinaia di persone sono state uccise a Gaza dagli spari sulla folla in coda per il cibo e, ancora, non si sa chi abbia aperto il fuoco”. “L'informazione di guerra presenta due sfide in questo momento, quella di creare le condizioni perché i giornalisti possano accedere ai luoghi in cui i conflitti avvengono e quella della lotta alle fake news e alla proliferazione dell’accesso ai media e alle opportunità tecnologiche con cui si possano veicolare informazione” prosegue, spiegando che la guerra a Gaza è un esempio per entrambe le sfide perché da una parte “l'esercito israeliano ha impedito ai giornalisti internazionali di avere una visione sul luogo” e dall’altra “alcuni giornalisti sono entrati embedded - come si dice in gergo tecnico - all'esercito, che ha fatto quindi vedere loro solo quello che voleva”.

“Da una situazione come quella di Gaza i media tradizionali possono trarre una lezione, perché se è vero che le nostre telecamere e i nostri taccuini non hanno potuto raccontarla sul campo, è pur vero che esistono centinaia di giornalisti locali e centinaia di semplici cittadini che possono contribuire all’informazione inviando i loro i filmati, dando le loro testimonianze. In questo caso, il nostro obbligo di giornalisti sarà quello di essere ‘i vigili urbani dell'informazione’, usando la nostra professionalità per capire quali di queste informazioni è vera e verificata o verificabile e quale no. Noi abbiamo gli strumenti per poterlo fare”. “Il rapporto Ghi di quest'anno ci dice una cosa allarmante - aggiunge Riva - che va addirittura oltre le informazioni sulle morti per fame a Gaza piuttosto che nel Sudan e in Somalia. Sto parlando del fatto che negli ultimi dieci anni l'indice di povertà è diminuito, ma di pochissimo. I Paesi che erano più generosi nel fornire aiuti fino a dieci anni fa, non lo sono più. Con la crisi economica è calata l'attenzione verso l'altro, si è meno disposti a gesti di generosità, sia personali che per quanto riguarda gli interventi degli Stati. Questo è il motivo per cui da dieci anni l'indice della fame nel mondo è rimasto pressoché inalterato, rendendo impossibile il traguardo che ci si era prefissati: zero fame entro il 2030”, avverte. Se si continuerà a migliorare a ritmi così bassi “si raggiungerà la zero fame nel 2137, un secolo dopo rispetto al previsto”, dice.

“ll Cesvi, di cui sono membro onorario - ricorda il giornalista - in questo momento nella Striscia di Gaza permette alla gente di avere accesso all'acqua, fondamentale anche più del cibo. Quindi le Ong che svolgono il loro lavoro in zone di guerra, soprattutto nelle zone più difficili, sono quelle che fanno da supplenza” alla mancanza di azioni degli Stati, riflette Riva. “Il supporto delle Ong è stato fondamentale, non solo per stare vicini alla popolazione e per cercare di portare delle gocce di umanità oltre che aiuto concreto, ma anche perché sono state i nostri occhi laddove i nostri occhi non potevano arrivare”, conclude.

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