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Csm, Ingroia: "Riforma più che 'spazzacorrenti' è 'rafforzacorrenti'"

08 agosto 2020 | 19.04
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"Di fronte ai cittadini disorientati che perdono fiducia nella magistratura, la politica aveva un’ottima occasione per riconquistarsi un po’ di fiducia e invece rischia di perderne altrettanta"

(Fotogramma)
(Fotogramma)

La riforma del Csm avviata "mi pare complessivamente inadeguata e sotto certi profili controproducente. Facendo una battuta, mi verrebbe da dire che più che legge 'spazzacorrenti', a occhio mi sembra 'rafforzacorrenti'…". A dirlo all’AdnKronos è l’ex pm antimafia di Palermo Antonio Ingroia.

"Mi riferisco al sistema elettorale - spiega Ingroia - che innanzitutto è timido rispetto al sorteggio. Io sono sempre stato assolutamente contrario al sorteggio, perché lo consideravo una mortificazione dell’elettorato, dei candidati e della magistratura, ma a mali estremi, estremi rimedi, perché il caso Palamara non è un caso passeggero, ha dato un quadro devastante che ha colpito, spero non in modo definitivo ma di certo significativo, la credibilità della magistratura agli occhi dei cittadini. E allora, anche la soluzione rispetto alla quale io ero contrario, e cioè il sorteggio radicale, penso fosse la migliore, e del resto, se non ricordo male, era anche il cavallo di battaglia originario del M5S".

Per Ingroia, con la riforma "il sorteggio viene in qualche modo introdotto in modo temperato, ma con un ballottaggio su collegi elettorali molto ridotti, e così paradossalmente viene meno l’autorevolezza del candidato, quindi si dà meno spazio ai candidati indipendenti, e se ne dà di più agli accordi spartitori fra le correnti. Inoltre ho visto che ci sono quattro preferenze, e questo facilita i listini, gli accordi trasversali fra gruppi". Per l’ex pm, dunque, "su questo profilo la riforma mi pare abbastanza deludente, anche se qualcosa di positivo c’è, come il sorteggio introdotto per i componenti delle commissioni, che riduce il peso dei vertici del Csm".

Quanto all’"abolizione dei gruppi dentro al Csm, è solo nominalistica e di facciata, perché se i gruppi finiscono per pesare nel momento elettorale e quindi nella valutazione dell’eletto, è chiaro che l’eletto sempre al gruppo farà riferimento. Poi, certo, non ci sarà il cartellino di appartenenza al petto, ma di fatto continuerà a rispondere al capo corrente, soprattutto se si favorisce, con questa polverizzazione dei collegi, l’elezione di magistrati di non grande autorevolezza e peso e quindi più facilmente pilotabili dai capi corrente, che continueranno ad avere un ruolo pesante".

Inoltre, spiega Ingroia, la riforma "mi pare anche abbastanza timida rispetto alla tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dei laici rispetto alla politica, perché i Padri costituenti avevano pensato che dovessero andare al Csm persone elette in Parlamento, è vero, ma che fossero rappresentanti dell’avvocatura, delle accademie, studiosi, ecc. E quindi, visto che si pensava di mettere degli sbarramenti rispetto ai politici di professione, ai quali veniva dato come contentino un posto al Csm col medesimo effetto di rispondere alle segreterie di partito, questa cosa è stata fatta a metà, perché c’è la preclusione per chi ha ricoperto incarichi di governo negli ultimi anni ma non c’è nessuna preclusione rispetto a parlamentari in carica o uscenti. E spesso al parlamentare non eletto, trombato alle ultime elezioni, il partito gli dà un posto al Csm. Anche su questo punto, dunque, ci troviamo di fronte a una riforma timida. Capisco che c’è un governo di coalizione fra alleati che si assomigliano poco, e quindi le soluzioni sono sempre di compromesso fra chi della magistratura e della giustizia ha idee diverse, ma le valutazioni vanno fatte sul risultato finale".

Ingroia evidenzia anche un ulteriore aspetto: "E' stata fatta una legge delega, e si suppone quindi che affronterà un lunghissimo dibattito parlamentare. Insomma, ancora una volta mi pare che, in generale, di fronte ai cittadini disorientati che perdono fiducia nella magistratura, la politica aveva un’ottima occasione per riconquistarsi un po’ di fiducia e invece rischia di perderne altrettanta". Subito dopo l’ex pm definisce "positiva e auspicabile" il punto della riforma che prevede che chi è stato al Csm non possa ricoprire incarichi direttivi per i quattro anni successivi, e giudica "una buona norma, che si attendeva da tempo, quella relativa alle cosiddette 'porte girevoli', nel senso che una volta che entri in Parlamento non puoi tornare a fare il magistrato".

Ma Ingroia fa anche notare che "oggi il Parlamento è pieno di parlamentari che sono magistrati in aspettativa, e allora che si fa con quelli che lo sono ancora? Immagino che la norma disciplini per il futuro, con il rischio di aver determinato dei privilegiati che mantengono il privilegio e altri che invece, giustamente, non avranno questa opportunità. Forse bisognerebbe dare un termine massimo per gli attuali parlamentari, o comunque che ricoprono cariche politiche, affinché entro una certa data scelgano un’opzione: o si dimettono dalla magistratura o si dimettono dall’incarico politico".

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