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Decreti sicurezza, Salvi: "Attenti agli effetti criminogeni"

31 gennaio 2020 | 12.45
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L’allarme del Procuratore della Cassazione Giovanni Salvi: "Valutare l’effetto di insicurezza che discende dalla mancanza di politiche razionali per l’ingresso legale nel Paese e per l’inserimento sociale pieno di coloro che vi si trovano

(Fotogramma)
(Fotogramma)

"Le scelte sulle politiche migratorie e di ingresso nel territorio dello Stato competono al Legislatore e al Governo, purché nel quadro di compatibilità con le norme costituzionali e pattizie, prima tra tutte l’obbligo che il nostro Paese ha assunto per la protezione internazionale di coloro che ne hanno potenzialmente diritto". E’ quanto si legge nella relazione del Procuratore Generale della Cassazione Giovanni Salvi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. "In altra parte di questo intervento si esaminano alcuni aspetti dei c.d. decreti sicurezza. Ma se di sicurezza si parla, è bene che sia valutato l’effetto criminogeno e di insicurezza che discende dalla mancanza di politiche razionali per l’ingresso legale nel Paese e per l’inserimento sociale pieno di coloro che vi si trovano" ha sottolineato Salvi.

"Mentre da anni sono chiusi i canali di ingresso legali e ormai non viene nemmeno più redatto nei tempi prescritti il decreto flussi - si legge- , la cessazione dell’accoglienza e delle politiche di inserimento (sanitario, di insegnamento dell’italiano, di formazione professionale, di alloggio) creeranno tra breve un’ulteriore massa di persone poste ai margini della società, rese cioè clandestine. Ciò deve essere evitato per molte ragioni, ma per una sopra ogni altra: rendere il nostro Paese ancora più sicuro".

"L’esperienza che in questi anni si è fatta, ad esempio, con la diffusione del lavoro nero in agricoltura e con il crescere di forme di oppressione che vanno persino oltre il caporalato, dovrebbe essere messa a frutto. Gli agglomerati spontanei di lavoratori, privati di un contratto legale e di un trattamento dignitoso, sono una vergogna per il nostro Paese e una grave minaccia per la sicurezza. Questa situazione è ingestibile - sottolinea Salvi - persino per i datori di lavoro, che vorrebbero poter ricorrere a un mercato del lavoro legale, in regime di concorrenza non falsata e senza il rischio delle gravi conseguenze penali derivanti anche per l’imprenditore dalla nuova disciplina dell’intermediazione ex art. 603 bis c.p. Essa incide sull’accesso al lavoro dei cittadini italiani, perché non si tratta di "lavori che gli italiani non vogliono fare", ma di lavori che vengono oggi svolti in condizioni disumane e prive di dignità".

VIOLENZA SU DONNE -"Permangono pressoché stabili, pur se anch’essi in diminuzione, gli omicidi in danno di donne, consumati nel contesto di relazioni affettive o domestiche, i c.d. "femminicidi". Le donne uccise sono state 131 nel 2017, 135 nel 2018 e 103 nel 2019. Aumenta di conseguenza il dato percentuale, rispetto agli omicidi in danno di uomini, in maniera davvero impressionante. Le violenze in danno di donne e di minori diminuiscono in numero, ma restano una emergenza nazionale". E’ quanto si legge nella relazione del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi per l’inaugurazione dell’anno giudiziario.

OMICIDI - "Il dato degli omicidi è drasticamente calato. Si tratta di una tendenza ormai stabile. Il picco fu raggiunto alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, quando nel 1991 vi furono 1.916 omicidi, per un rateo di 3,38 per 100.000 abitanti; nel 2019 sono stati 297, con un rateo vicino allo 0,60, dato ormai stabile negli ultimi anni". "L’Italia vede, dunque, un numero di omicidi in rapporto alla popolazione inferiore alla media europea e tra i più bassi al mondo. Certamente ciò è dovuto al contrasto efficace al crimine organizzato e al crimine violento. In effetti, nel periodo del picco nel numero dei delitti di sangue, il 33% degli omicidi era riferibile al contesto mafioso, ridotto ora al 9%" ha aggiunto.

CARCERI - Il grado di affollamento nelle carceri ha raggiunto nuovamente livelli allarmanti. Ciò determina condizioni di vita difficili, il sorgere di un clima pericoloso, disagio anche per il personale penitenziario", si legge nella relazione, dove si spiega che "vi sono molte ragioni che contribuiscono a determinare una simile situazione. Tra queste vi è la nuova attenzione verso l’effettività della pena e dunque verso la sua esecuzione; ciò ha portato ad un significativo incremento delle decisioni definitive, finalmente eseguite. L’analisi della popolazione carceraria indica poi altri elementi positivi, che vanno evidenziati per superare antichi luoghi comuni, duri a morire. Il rapporto tra detenuti in attesa di giudizio e in espiazione pena si è ribaltato, rispetto al 2008. Esso è infatti passato dal 55% al 33%. A ciò - ha aggiunto- si aggiunga che vengono considerati, nella rilevazione a fini statistici, quali detenuti in attesa di giudizio anche i ricorrenti in appello e cassazione. Se si considera, dunque, Il rapporto tra detenuti in custodia cautelare e giudicati in primo grado, il trend è ancora più positivo".
"D’altra parte il nostro Paese, grazie alle misure alternative di esecuzione della pena, finalizzata al reinserimento sociale, si trova assai in basso nella scala del rapporto tra popolazione e detenuti. L’Italia è infatti al 149° posto, dietro Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo e ciò pur considerando il livello certamente assai diverso della criminalità del nostro Paese rispetto a quello dei Paesi europei appena citati - ha proseguito Salvi - Basti considerare che sono ben 10mila circa i ristretti nei circuiti di massima sicurezza, dunque per reati assai gravi, spesso di stampo associativo, non certo diffusi negli altri Paesi europei".
"Vi è il rischio che le misure alternative non siano considerate quali parte del processo di reinserimento sociale, ma come mero strumento di deflazione. Ciò, tra l’altro, genera disparità inaccettabili, contribuendo al circolo vizioso della marginalità - ha avvertito- Mentre i "colletti bianchi" sono praticamente assenti dalle statistiche penitenziarie, i soggetti che sono in partenza ai margini della società, perché privi di sostentamento, di famiglie in grado di accoglierli o di alloggi stabili, hanno maggiore difficoltà ad accedere alle misure alternative e a partecipare a percorsi di reinserimento. E un inaccettabile circolo vizioso, come ha di recente sottolineato ancora una volta il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale".

PRESCRIZIONE - "Lo stesso tema della prescrizione assume carattere dirompente nel dibattito politico, perché legato indissolubilmente a quella scelta di fondo. Ad esempio, se è vero che è dinnanzi al giudice di primo grado e al giudice per le indagini preliminari che si consuma la prescrizione, è ormai noto che ciò dipende dal fallimento della scommessa sui riti alternativi, che continuano a mietere una percentuale irrisoria di definizioni". Secondo Salvi, "la scommessa è fallita perché l’aspettativa pressoché certa della prescrizione ha reso quella scelta non conveniente, nell’ovvio e legittimo calcolo costi-benefici dell’imputato. Finché la prescrizione sarà, non un evento eccezionale causato dall’inerzia della giurisdizione, ma un obbiettivo da perseguire, nessun rito alternativo sarà appetibile".

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