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Dna svela infanticidio di orsi bruni

27 febbraio 2018 | 16.41
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I cuccioli di orso uccisi/M. Baggia e R. Calvetti Archivio Prov. Aut. di Trento - M. Baggia e R. Calvetti Archivio Prov. Aut. di Trento
I cuccioli di orso uccisi/M. Baggia e R. Calvetti Archivio Prov. Aut. di Trento - M. Baggia e R. Calvetti Archivio Prov. Aut. di Trento

Scienziati italiani hanno utilizzato una tecnologia forense per far luce sul primo caso di infanticidio geneticamente documentato negli orsi bruni. Una ricerca che ha permesso di risalire al responsabile della morte di una femmina e dei suoi due cuccioli in Trentino, dove una piccola popolazione di orsi è stata reintrodotta e geneticamente monitorata per 20 anni. Lo studio, condotto da Francesca Davoli e dal suo team dell'Ispra di Bologna, è pubblicato su 'Nature Conservation'.

Per garantire la propria riproduzione, i maschi di alcune specie di mammiferi, come leoni e orsi, esibiscono un comportamento infanticida uccidendo la prole dei rivali, in modo da potersi accoppiare con le femmine che diventano nuovamente fertili subito dopo aver perso i cuccioli. Tuttavia a volte anche le femmine vengono uccise mentre cercano di proteggere i loro piccoli, cosa che si traduce in una minaccia per la sopravvivenza di gruppi ridotti e specie in via di estinzione. "Nelle popolazioni isolate con un piccolo numero di adulti in età riproduttiva, l'infanticidio sessualmente selezionato può avere un impatto negativo sulla conservazione a lungo termine della specie, specialmente nel caso in cui la femmina venga uccisa mentre protegge i suoi cuccioli", sottolineano i ricercatori.

"Tenendo conto di ciò, l'identificazione genetica" dei killer "potrebbe dare indicazioni concrete per la gestione di gruppi ridotti, ad esempio mettendo radio-collari ai maschi infanticidi per seguirli", aggiungono gli autori. "Tuttavia finora gli studi genetici per identificare i maschi killer hanno ricevuto poca attenzione". Grazie a un database contenente i genotipi di tutti gli orsi dell'area studiata e a un software open-source utilizzato per analizzare i profili genetici forensi umani, gli scienziati sono stati in grado di risolvere il giallo, un po' come accade nelle serie 'crime' in tv.

Dopo aver esaminato i tre cadaveri, i ricercatori erano certi che gli animali non fossero stati uccisi da un essere umano. All'inizio nel gruppo dei 'soliti sospetti' c'erano tutti gli orsi bruni maschi segnalati nell'area nel 2015. Sperando di isolare il Dna del killer, i ricercatori hanno raccolto campioni di peli ed eseguito tamponi delle ferite della femmina in cerca di saliva. Avendo a che fare con una popolazione relativamente piccola, gli scienziati si aspettavano che gli animali condividessero un certo genotipo, il che significa che avevano bisogno di molti campioni.

Tuttavia il Dna recuperato dai tamponi di saliva indicava un maschio adulto e, a prima vista, sembrava appartenere al padre dei cuccioli. Più tardi, gli scienziati hanno scoperto che invece il killer doveva aver ferito i cuccioli e la madre alternativamente, contaminando con il sangue dei piccoli (contenente il materiale genetico ereditato dal padre) le ferite. I ricercatori avevano escluso il padre dal novero dei sospetti perché non ci sono casi noti di orsi maschi che uccidono la propria prole. In realtà i maschi sembrano riconoscere anche i propri figli una volta cresciuti, anche se molto probabilmente riconoscono la madre.

Per arrivare all'aggressore gli scienziati hanno dovuto utilizzare la piccolissima quantità di materiale genetico estratta dai campioni di saliva, per ottenere così quattro profili genetici in gran parte sovrapponibili. Un confronto con tutti i maschi 'nel mirino' ha permesso di delimitare i sospetti a un solo individuo: M7. E' stato lui a uccidere l'orsa e i piccoli. "Il monitoraggio delle cucciolate è fondamentale per il controllo delle popolazioni di orsi e ha consentito di confermare l'esistenza di casi di infanticidi" fra questi animali, concludono gli autori.

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