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Eni, Descalzi: "Italia cuore della ricerca". Su Usa-Russia: "Riavvicinamento sarebbe positivo"

30 gennaio 2017 | 10.04
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Claudio Descalzi (FOTOGRAMMA)
Claudio Descalzi (FOTOGRAMMA)

Per Eni "l'Italia è la sede di un know-how importantissimo: tutta la parte di calcolo e i modelli proprietari, tutta la ricerca scientifica e l'ingegneria sono qui". A sottolinearlo, in un forum al 'Corriere della Sera', è l'amministratore delegato del gruppo Claudio Descalzi.

"Abbiamo speso più di 15 miliardi nell’ultimo triennio. Una massa notevole, come una legge finanziaria, e continuiamo a farlo - sottolinea l'ad - Chi dice 'volete abbandonare l’Italia' non legge i nostri bilanci. Come investimento il solo Egitto la supera a causa dello sviluppo del giacimento di Zohr, ma come spesa globale è il Paese numero uno. Qui abbiamo il 60% del personale, 5 raffinerie, 8 stabilimenti chimici, 6 centrali elettriche, oltre 100 piattaforme".

Quanto al core business del cane a sei zampe, in uno scenario in cui i produttori elettrici vanno verso digitale e tlc e i petrolieri verso le rinnovabili, Descalzi spiega: "Non vogliamo cambiare mestiere. Io sono sempre stato convinto della necessità di fare fronte al 'climate change' e tre anni fa abbiamo definito un piano di azione dedicato. Siamo partiti dall’Africa, dove siamo la prima compagnia petrolifera e siamo presenti in 15 Stati. Il fotovoltaico ci permette di liberare gas per il mercato interno, oltre che ridurre le emissioni".

Dunque, su una possibile concorrenza all'Enel, l'ad ribadisce: "Il nostro core-business è gas e petrolio. Però è un'opportunità e ha un potenziale interessante di crescita. Lo è anche in Italia dove abbiamo a disposizione 4 mila ettari per posare pannelli fotovoltaici che per ora con i 15 progetti in esecuzione abbiamo sfruttato per il 10%. Tra 4-5 anni avremo 230 megawatt che si uniscono ai 200 all’estero, ma possiamo fare molto di più".

In un futuro remoto l’Eni potrebbe pensare ad altri business, come ad esempio l’acqua, risorsa che sarà sempre più preziosa? "Come business futuro, sinceramente non credo. Ma in Africa l’energia rinnovabile fotovoltaica serve spesso per alimentare le pompe che vengono utilizzate nei pozzi perforati per cercare acqua potabile", spiega.

Sul fronte Usa-Russia, per l’Europa un riavvicinamento "sarebbe positivo, viste le nostre relazioni commerciali dirette", sostiene ancora Descalzi. Alla domanda sul possibile impatto per le compagnie petrolifere del programma annunciato da Donald Trump sotto il profilo ambientale, il manager rileva che, "come Trump stesso ha ripetutamente sostenuto, la sua politica economica avrà impatto soprattutto sugli Stati Uniti, in termini di maggiori investimenti interni e lavoro. Se la focalizzazione sull’interno sarà forte ci saranno ritorni per tutti i settori economici in generale, non solo per quello petrolifero", sottolinea.

"E se i consumi interni di petrolio e gas dovessero salire, gli Stati Uniti hanno comunque le risorse e la capacità per rispondere all’aumento della domanda con più offerta 'shale'. Da questo punto di vista è un sistema chiuso che può alimentare la propria crescita", afferma l'ad. E il passo indietro sull’ambiente? "Forse pochi ricordano che prima della conferenza di Parigi l’America non aveva preso alcun impegno per la riduzione delle emissioni, al contrario dell’Europa, che da Kyoto in poi ha sempre fissato e regolato i propri obiettivi e comportamenti".

"Ma gli Usa, lasciando la questione al libero mercato, sono stati quelli che sulle emissioni hanno avuto l’effetto più importante: lo shale gas, che ha sostituito il carbone, in una decina d’anni ha permesso di abbassare le emissioni del 20%. Credo comunque - prosegue Descalzi - che i Paesi che hanno preso impegni ambientali, come l’Europa ma non solo, andranno avanti qualsiasi cosa pensi di fare Trump. Noi come Eni faremo così".

Quali aspettative ci sono sul fronte delle sanzioni verso Mosca e sui tempi di un possibile allentamento? "Trump ha chiaramente detto che preferisce il dialogo alle sanzioni, ma bisognerà vedere - osserva l'ad di Eni - se dopo il dialogo ci sarà spazio per altro. È ovvio che per l’Europa un riavvicinamento Usa-Russia sarebbe positivo, viste le nostre relazioni commerciali dirette".

"Ma non si può non rilevare che sullo scenario internazionale la Russia, malgrado le mani legate dalle sanzioni, si sia mossa in modo molto dinamico. Prima con la Siria, poi con l’accordo Opec-non Opec. Mosca è riuscita a ricondurre alla trattativa Iran e Arabia Saudita, e a portare a casa un accordo sulla riduzione della produzione di petrolio che tentennava da tre anni. Così facendo ha non solo dato ossigeno a se stessa, ma ha anche risollevato le sorti di molti Paesi produttori che con quei prezzi erano ridotti allo stremo", osserva.

Quanto alla situazione in Libia, "ho letto le interviste del 'Corriere' a Haftar e Serraj. Quella al premier libico - afferma Desclazi - mi ha colpito perché per la prima volta ha dato la prospettiva di un cammino da fare, di una strategia basata proprio sul confronto, e sulla comprensione con Haftar. Potrebbe avviarsi una dinamica che fa ben sperare". Orizzonte più sereno quindi? "L’orizzonte rimane ancora molto oscuro, ma credo che se lasciassimo i libici a lavorare da soli a casa loro, senza ingerenze esterne avrebbero già trovato una soluzione. Dall’esterno ci sono state molte parole ma pochi fatti ed alcune contraddizioni. L’Italia da parte sua ha lavorato sodo, ma è rimasta da sola. Tuttavia è positivo se Serraj e Haftar parlano di un Paese unico. Spero che riescano a trovare una soluzione: libici con i libici, all’interno della Libia", dice l'ad che poi fa il bilancio di un triennio che ha visto il prezzo del barile scendere da 114 fino a 27 dollari e risalire sopra quota 50 solo dopo l’ultimo accordo Opec-non Opec.

"Il gruppo Eni ha superato lo 'stress test' del mini-barile registrando la crescita produttiva più grande nella storia del 'cane a sei zampe' dice Descalzi, che tra pochi mesi taglierà il traguardo di tre anni da amministratore delegato del gruppo dove è entrato 37 anni fa.

"Direi che siamo usciti molto bene dallo stress test che abbiamo fatto nel triennio scorso", spiega il manager. "Abbiamo cambiato l’organizzazione e abbassato i costi di struttura da 2,2 a 1,4 miliardi l’anno. Abbiamo registrato - prosegue - una crescita produttiva del 15% con investimenti nell’upstream che sono scesi passando da 10-11 a 7 miliardi".

"Siamo molto più solidi di prima, ora per coprirli ci bastano 50 dollari al barile mentre prima erano 127, cosa che ci mette in ottima posizione per affrontare una risalita dei prezzi. Insomma, la cura dimagrante c’è stata ma - sottolinea Descalzi - è avvenuta rafforzando i muscoli dell’Eni. E senza mandare a casa nessuno, cosa che non definirei proprio banale. L’industria nel suo complesso ha perso in questo periodo 440mila persone, noi invece ne abbiamo assunte mille".

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