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Carceri: la fede non è uguale per tutti, solo 11 imam per 5700 detenuti

15 febbraio 2016 | 17.16
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Pregare dietro le sbarre delle carceri italiane non è facile per tutti, se non impossibile. I diritti religiosi dei detenuti non sono ancora garantiti allo stesso modo e, nonostante i passi avanti fatti, restano molto eterogenee le regole di accesso dei ministri delle diverse chiese, mancano spazi ad hoc, e non sempre vengono rispettate le abitudini, ad esempio quelle alimentari, legate al credo religioso. A parlare sono anche i numeri: a fronte di 29.161 detenuti cattolici sono 411 i cappellani delle carceri, mentre per i 5.781 carcerati di fede islamica sono 'appena' 11 gli imam autorizzati. Dato decisamente sproporzionato, poi, quello dei testimoni di Geova: per appena 31 detenuti appartenenti a questo culto sono ben 492 i ministri volontari che visitano le carceri italiane.

Su questi temi si è riflettuto, oggi a Roma, in occasione di un convegno organizzato dall'associazione Antigone, convinta che "garantire questi diritti" sia "una risposta democratica alla radicalizzazione" e che mentre "si ragiona su un nuovo ordinamento penitenziario, a oltre 40 anni dall'approvazione di quello attuale, sia doveroso affrontare questo tema".

Quanto ai numeri, diffusi oggi, su un totale di oltre 52.400 detenuti nei penitenziari italiani, il 55,9% (29.161 persone) si dichiara cattolico, con una netta prevalenza di italiani, l'11,1% (per un totale di 5.781) è di fede islamica (di cui 119 italiani), il 4,3% gli ortodossi (2.223 detenuti), mentre altre religioni (da quella buddista, a quella Hindu, ebraica, anglicana ecc.) oscillano fra uno 0,1 e 0,4%.

Antigone, ancora molto eterogenee le regole di accesso ministri di culto

Resta però - sottolinea Antigone - una grande eterogeneità nelle regole di accesso al carcere dei ministri delle diverse chiese. Da una parte c’è "il ruolo storico attribuito alla chiesa cattolica che nasce con i Patti lateranensi", che prevede la figura del cappellano "presente, per legge, in tutte le carceri italiane e retribuito dallo Stato" spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.

Poi ci sono le Chiese che hanno stipulato un’intesa con lo Stato (dalla Tavola Valdese, all'Unione delle Comunità Ebraiche, all'Unione Cristiana Evangelica Battista, fino al''Unione Buddista Italiana, per citarne alcune) grazie alla quale i ministri di culto possono entrare regolarmente nei penitenziari, "ma non sono retribuiti dallo Stato". Infine ci sono i ministri delle altre Chiese che non hanno firmato intese con lo Stato (ad esempio l'Unione delle comunità islamiche) "per i quali, quando ci si riesce, si firmano protocolli ad hoc, che permettono ai ministri di entrare in carcere secondo ulteriori regole, come se fossero dei volontari".

Dai dati provenienti dal materiale preparatorio del recente protocollo siglato dal Dap con l’Ucoii, 52 istituti risultano ospitare luoghi di culto islamici ufficiali (definibili come moschee). In altri 132 istituti ci sono invece stanze utilizzate come luogo d'incontro con ministri di culto islamico. Complessivamente sono 9 gli imam ufficialmente "certificati", mentre altri rientrano nel contesto del volontariato. Sono 69 gli operatori religiosi con la specifica funzione di mediazione religiosa e culturale verso il mondo islamico, di cui 14 volontari. Mentre, a quanto risulta ad Antigone, non vi sono altri luoghi di culto ufficiali relativi ad altre confessioni religiose. Tutto questo a fronte di una o più di una cappella cattolica.

Santi Consolo (Dap), professare religione è diritto da assicurare a tutti

Da qui la proposta di Antigone "che si arrivi a una norma sulla libertà religiosa, che dia a tutti pari dignità, affinchè si possa professare liberamente la propria fede, si possa mangiare nel rispetto delle regole religiose, senza nessuna discriminazione. Tutto questo - spiega ancora Gonnella - siamo convinti che darà grandi risultati nel contrasto ai rischi di radicalizzazione".

A tal proposito, secondo fonti ufficiali del ministero della Giustizia i detenuti già radicalizzati sono 19 e sono ristretti in appositi sezioni di alta sicurezza, mentre sarebbero circa 200 quelli posti 'sotto attenzione'.

"Professare una religione è un diritto dei detenuti - commenta il capo del Dipartimento dell'Ammistrazione Penitenziaria, Santi Consolo - per questo dobbiamo creare le condizioni strutturali affinchè questo diritto sia agevolato nella sua massima estensione, anche attraverso l'ingresso dei ministri di culto e dei mediatori culturali". In proposito "è molto importante il protocollo con l'Ucoii, siglato prima dei fatti di Parigi, in vigore in 8 dei più grandi penitenziari d'Italia, dove maggiore è la presenza di islamici e dove viene assicurata la preghiera in locali destinati ad hoc. Si parte con questo esperimento - conclude - ma è nostra intenzione ampliarlo ed estenderlo ad altre realtà e altre religioni".

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