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Mafia, Contrada: "Investigatori impreparati per stragi '92"

15 novembre 2019 | 12.24
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L'ex 007 parla in un'intervista all'Adnkronos a poche ore dalla sentenza del processo 'Borsellino quater'

Mafia, Contrada:

Di Elvira Terranova
Gli investigatori a cui furono affidate le indagini sulle stragi mafiose del 1992 non erano "sufficientemente preparati" perché "non avevano una particolare conoscenza del fenomeno mafioso". Mentre sui magistrati che coordinarono quelle indagini "preferisco non esprimere la mia opinione". Bruno Contrada, 88 anni compiuti, non nasconde i suoi dubbi sulle indagini condotte dal gruppo investigativo 'Falcone e Borsellino', dopo le stragi in cui furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

A poche ore dalla sentenza del processo d'appello 'Borsellino quater', attesa per questa sera, che vede alla sbarra due boss mafiosi, Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, e tre falsi pentiti, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci, l'ex dirigente della Squadra mobile di Palermo ed ex 007, racconta quello che accadde il giorno dopo la strage di via D'Amelio, quando venne chiamato dall'allora Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra per avere un aiuto sulle indagini.

"Il 20 luglio del 1992 mi chiamò il Procuratore Tinebra, che da pochi giorni si era insediato - racconta Contrada in una intervista all' Adnkronos - e mi chiese di collaborare con le indagini sulla strage. Ma io gli dissi che non potevo svolgere alcuna indagine in quanto non ero più un ufficiale di Polizia giudiziaria, data la mia carica di funzionario dei servizi di sicurezza. I funzionari, ribadisco, non hanno più la qualifica di Polizia giudiziaria". "Pertanto, non possono più svolgere indagini alle dipendenze della magistratura dell'autorità giudiziaria", spiega ancora Bruno Contrada. L'ex 007 era stato condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa ma la Corte di cassazione ha revocato la condanna. Contrada era stato condannato in via definitiva nel 2007, sulla base delle testimonianze di alcuni pentiti, per aver favorito la mafia siciliana tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta.

La Corte di Cassazione ha stabilito, invece, che la condanna che venne comminata a Contrada è "ineseguibile e improduttiva di effetti penali". Contrada aveva terminato di scontare la sua pena nel 2012, dopo aver trascorso quattro anni in carcere e quattro ai domiciliari. "Nel corso dell'incontro con Tinebra gli espressi la mia opinione sulla strage e gli dissi che a Palermo, negli ultimi 20-30 anni, tutti i delitti e le stragi avvenute con esplosivi facevano capo alla famiglia Madonia. Cioè dagli anni Settanta in poi. Parlavo della esperienza professionale di 20 anni a Palermo di Polizia giudiziaria, non in base ad elementi di indagini che avevo svolto", dice Contrada. "Comunque, gli dissi di indirizzare le indagini verso i Madonia perché che la famiglia fosse implicata era una mia opinione che poi si è rivelata non destituita di fondamento. Tanto è vero che nei vari processi conclusi con sentenza per le stragi ci sono sempre i Madonia, come anche nella strage Borsellino. Oppure nell'attentato per l'Addaura o della strage Chinnici. Questo è stato il mio apporto alle indagini...".

Sottolinea poi di "non avere mai svolto indagini" sull'ex collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino. Mentre sui falsi pentiti, tra cui lo stesso Scarantino ma anche gli altri due imputati, Calogero Pulci e Andriotta, spiega: "Non lo so perché hanno detto il falso, non so perché questi individui si sono determinati a dire cose non vere. So solo che la gestione di un criminale mafioso cosiddetto pentito o collaboratore di giustizia è una attività molto difficile e delicata e deve essere condotta da persone che hanno competenza notevole in materia di mafia e antimafia, una conoscenza del fenomeno di uomini e di cose. Altrimenti si può incorrere in gravissimi errori. Questa è la mia opinione, non può essere affidata a persone, e parlo sia di forze dell'ordine che della magistratura che non sono in possesso di questa particolare competenza. E' una conoscenza, che si acquisisce sul campo, non attraverso lo studio di atti o di libri. E' un'attività che deve essere svolta da investigatori".

E ribadisce ancora: "Per quanto mi risulta, avendo fatto 20 anni di Polizia giudiziara, dal 1962 al 1982, di cui 14 anni alla Mobile e 6 alla Criminalpol, non mi risulta che il gruppo investigativo cosiddetto 'Falcone e Borsellino' a cui furono delegate dall'autorità giudiziaria le indagini sulla strage avesse una particolare conoscenza del fenomeno mafioso specificato palermitano. Questo lo posso dire in base alla mia esperienza". Sui magistrati "non sono in grado di esprimere un'opinione, avendo pure una mia opinione ma non intendo esprimerla".

Commentando poi la frase dei giudici del processo di primo grado secondo cui la strage di via D'Amelio è stata "il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana", Bruno Contrada dice: "Non conosco la storia dei depistaggi italiani, conosco la storia politica e civile e militare d'Italia, non ho mai studiato la storia dei depistaggi italiani ma la storia del Risorgimento, dei comuni, dei principati del regno d'Italia. Per quanto riguarda la competenza e la bravura dei magistrati delegati alle inchieste giudiziarie sulle stragi non ritengo che sia opportuno che esprima una mio opinione in materia".

Ma poi vuole aggiungere una cosa: "A 88 un uomo ha il diritto e nello stesso tempo il dovere di non mentire perché tutti gli uomini mentono a se stesso, perché si mente anche a se stessi e agli altri. Figuriamoci poi di fronte alla legge. Questa è la mia filosofia di questo ultimo pezzo della mia vita. Dico le cose che penso, mi rendo conto che a volte è una manifestazione di legittima difesa...".

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