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Usa 2016, Trump sotto attacco sugli immigrati nel quarto dibattito Gop

11 novembre 2015 | 14.54
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(Infophoto) - INFOPHOTO
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Un dibattito dominato dal tema dell'immigrazione, e che ha visto Donald Trump sotto attacco degli altri aspiranti candidati repubblicani alla presidenza, quello che ieri sera ha riunito al Milwaukee Theatre, Wisconsin, Donald Trump, Ben Carson, Marco Rubio, Ted Cruz, Jeb Bush, Carly Fiorina, John Kasich e Rand Paul.

I candidati si sono trovati su sponde opposte anche su temi riguardanti la politica estera, ed in particolare l'opportunità di fare di più in Medio Oriente e nella lotta contro lo Stato Islamico, ma è stata la proposta di Trump di costruire un muro al confine con il Messico e deportare tutti i migranti che vivono clandestinamente negli Stati Uniti a suscitare le maggiori polemiche.

Il governatore dell'Ohio, Kasich, ha commentato l'idea di espellere 11 milioni di persone definendola un argomento "sciocco, non adulto". Bush, ex governatore della Florida ha sottolineato come queste prese di posizione non servano ad altro che a fare il gioco della candidata democratica Hillary Clinton. "E' questo il problema. Dobbiamo conquistare la presidenza e per farlo bisogna avere idee pratiche", ha commentato definendo "non possibile" e "non in accordo con i valori americani" il progetto di rimpatriare milioni di persone.

"Darebbe il segnale di un'America diversa da quella che io conosco", ha affermato, osservando poi che i consiglieri di Hillary Clinton stavano certamente 'battendo il cinque' a sentire esporre queste tesi. Timore fondatissimo. Poco dopo è arrivato il tweet dell'addetto stampa di Hillary, Brian Fallon: "Stiamo effettivamente battendo il cinque in questo momento". L'unico appoggio a Trump è venuto da Ted Cruz, che ha citato la storia di immigrazione dei suoi genitori per esprimersi in favore di un'immigrazione legale.

Rubio vince quarto dibattito, ma Bush ferma l'emorragia - Commentatori ed insider del partito repubblicano non hanno dubbi: è Marco Rubio il vincitore del quarto dibattito repubblicano. Il 44enne senatore della Florida infatti è stato quello con maggiore energia, determinazione e preparazione sui dossier. Niente a che vedere con quella che viene definita la "peggiore performance" di Donald Trump, rimasto praticamente ai margini del dibattito per le intere due ore, limitandosi a ripetere i suoi soliti ritornelli su come applicherà alla Casa Bianca la sua ricetta di successo imprenditoriale.

"Ad ogni livello Marco ha vinto, forte e informato su ogni questione, presidenziale e carismatico", ha detto invece di Rubio un attivista repubblicano del New Hampshire che faceva parte del gruppo d'ascolto di insider organizzato da Politico, il 40% dei quali ha dato la vittoria a repubblicano di origine cubana, con Jeb Bush che segue ma al 12%. Anche il 42% dei democratici che hanno seguito il dibattito ritengono che sia stato il senatore il vincitore. In quella che gli osservatori consideravano la sfida più importante di ieri a Milwaukee, tra Rubio e Jeb Bush, che aveva nel giovane ispanico un suo protetto quando era governatore della Florida, il senatore si è quindi nettamente imposto.

Ma, sottolinea ancora Politico, Jeb sarebbe riuscito ieri sera "a fermare l'emorragia" che nelle ultime settimane stava mettendo a rischio la sopravvivenza stessa della sua candidatura. Ed in questo modo è riuscito a rassicurare i suoi sostenitori, e grandi finanziatori, sempre più preoccupati. Bush è riuscito a centrare questo primo, minimo obiettivo, facendo però il contrario di quello che gli suggerivano in molti, ha evitato il confronto diretto con Rubio.

"Grazie al cielo, questa notte ha fermato l'emorragia - ha sintetizzato Ana Navarro, amica e consulente di Bush - questo può essere l'inizio di una svolta se riuscirà a costruire su questa solida performance". Osservatori più imparziali riconoscono che Bush ha avuto "una buona serata", la prima dall'inizio della stagione dei dibattiti, ma avvisano, come fa il commentatore del Washington Post, "ne ha bisogno di altre migliori".

Per lui infatti la strada è tutta in salita, soprattutto perché Rubio ieri è riuscito ad accreditarsi come "la figura più carismatica nel campo repubblicano tra i politici di professione", scrive The Hill che, come gran parte della stampa americana sembra ragionare sull'assunto che - nella lunga distanza - si andranno a sgonfiare gli attuali front runner della corsa, Donald Trump e Ben Carson. E quel punto la vera gara sarà giocata dai due-tre candidati che saranno riusciti a mantenersi in corsa durante i mesi in cui gli outsider hanno dominato.

Ieri notte infatti un altro repubblicano della generazione Tea Party ha avuto modo, per il secondo dibattito consecutivo, di dare una buona prova: Ted Cruz, il senatore, anche lui ispanico, del Texas che a differenza da Rubio - che si presenta come il candidato che può rassicurare l'establishment - ha mantenuto la sua caratteristica posizione di critica al sistema politico tradizionale.

Peccato per lui che alla fine è inciampato in una piccola papera - incredibilmente simile a quella indimenticabile, e molto più grave in cui cadde nel 2012 il suo 'compaesano' Rick Perry, allora governatore del Texas - quando dovendo nominare le quattro agenzie federali che abolirebbe, ne ha nominate solo tre, ripetendo due volte il dipartimento del Commercio.

A completare il quadro, bisogno notare come a Milwaukee si è avuto anche 'il ritorno in vita' del terzo cavaliere del Tea Party, Ran Paul, anche lui arrivato in Senato, come i due colleghi, nel 2010. Finora opaco se non assente durante gli altri dibattiti, il figlio dello storico leader libertarian, ha insistito su alcuni punti chiave del credo libertariano, la sfiducia nella Federal Reserve, attaccando Rubio per quelli che considera piani destinati ad aumentare le tasse per aumentare le spese militari.

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