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Parisi e i 20 anni dell'Ulivo: "Renzi figlio di quella stagione"

19 aprile 2016 | 13.52
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Walter Veltroni e Romano Prodi alla Convention dell'Ulivo, Milano 18 aprile 1996 (FOTOGRAMMA) - (FOTOGRAMMA)
Walter Veltroni e Romano Prodi alla Convention dell'Ulivo, Milano 18 aprile 1996 (FOTOGRAMMA) - (FOTOGRAMMA)

"Con Romano eravamo in treno verso Roma. A Terontola arrivò la telefonata di Diamanti. La Lega cresceva fuori da ogni previsione. Fu allora che capii che avevamo vinto". Era il 21 aprile 1996 e Arturo Parisi accompagnava Romano Prodi a Roma per attendere l'esito del voto a piazza Santi Apostoli. L'Ulivo vinse le elezioni politiche, in una notte che ha segnato la storia del centrosinistra italiano. Parisi la rivive, parlando con l'Adnkronos, con emozione, come non fosse passato un minuto da quei giorni.

Di quella stagione "resta il mandato a portare a compimento il progetto di rinnovamento della società e di riforma delle istituzioni", osserva Parisi. Un'eredità che spetta al Pd portare avanti e a Matteo Renzi che, nel bene e nel male, è "figlio dell'Ulivo" anche perché nato politicamente da quell'esperienza: "Senza l'Ulivo il suo percorso non sarebbe stato pensabile". Così come "dell'Ulivo Renzi è certamente uno dei figli, D'Alema può di certo dirsi uno dei padri. Tuttavia solo all'anagrafe", sottolinea Parisi che ha sempre additato l'ex-premier tra quelli che hanno "soffocato l'Ulivo".

"Dell'Ulivo, D'Alema accettò infatti di essere solo un padrino anche al prezzo di sembrare un patrigno, non certo un padre. Per sua scelta, la sua intelligenza e ancor di più la sua passione, si indirizzò invece senza incertezze altrove e si spese per un disegno diverso. Una scelta legittima. E, tuttavia, anche se sfortunata e perdente, per uno come lui perfino doverosa".

Vent'anni dalla vittoria dell'Ulivo, il 21 aprile 1996, quale ricordo sceglierebbe per descrivere quel giorno? "Quale ricordo? Di quel giorno i passaggi li ricordo tutti. Uno per uno, quasi al rallentatore. Prodi che mi raggiunge al cellulare all'Abbazia di Monteveglio mentre dopo il voto mi godo quel bel giorno di sole con mia moglie e i nostri amici americani di sempre. 'Ebbè, ti sei dimenticato che stasera dobbiamo essere a Roma?' dice Romano interrompendo il silenzio di un fine settimana con lui che gira l'Italia come una trottola per incontri e comizi ed io a Bologna chiuso a studiare sondaggi e tabulati".

"Il rientro frettoloso in città per prendere il treno. Frettoloso e dubbioso. Tanto i dati mi hanno convinto che la vittoria è tutto fuor che a portata di mano. E per me che ho rifiutato di candidarmi al Parlamento una fase è quindi finita. Il lungo viaggio assieme ai Prodi, come sempre emiliani ottimisti, mentre io, mi faccia sorridere, sociologo e sardo, mi passo e ripasso gli infausti tabulati della vigilia pensando al commento dell'atteso risultato finale".

Quando cominciarono a sciogliersi i suoi dubbi? "Improvvisamente, già forse a Terontola, ecco arrivare la svolta. È Ilvo Diamanti che mi chiama dalla sua Vicenza. I voti dell'Ulivo sono quelli stimati. Sono invece quelli della Lega che crescono in misura imprevista. Grazie alla dura regola della legge maggioritaria la destra divisa perde un collegio dietro l'altro. La qualità e l'unità della nostra proposta, che con tanta passione avevamo costruito attraverso una marcia faticosa lunga 14 mesi, aveva avuto ragione della loro inutile quantità ritornata divisa dopo la prova effimera del primo governo Berlusconi durato solo 9 mesi. Tutto il resto è un ruzzolo, fino al boato della notte nella nostra piazza SS.Apostoli che sancisce la vittoria politica dell'Ulivo e la sconfitta elettorale delle destre. E sul palco Romano al centro dei capi dei partiti della coalizione con le due dita a V incerte tra il segno della vittoria e quello della benedizione".

Che significato ha avuto l'esperienza dell'Ulivo nella politica italiana? "All'inizio fu la prova che il dopoguerra era definitivamente finito. Tra i cittadini, che mescolandosi in libertà tra di loro ci seguirono e ci spinsero, fu la prova che le distinte ragioni dei partiti che assieme avevano fondato e, nonostante tutto, assieme anche retto la Repubblica, si erano esaurite: per compimento, non per fallimento. Mentre Mani pulite infliggeva un colpo mortale alla classe politica uscente, levatrici di questo processo di unità e di rinnovamento del campo di centrosinistra furono le necessità del sistema maggioritario figlio del movimento referendario sceso in campo nel '90".

"La scommessa era: costruire prima delle elezioni direttamente tra i cittadini una proposta di governo capace per qualità e quantità di reggere una legislatura. Non delegarla più come in passato ai partiti, perché a nome dei cittadini ma nell'interesse delle proprie partizioni e spartizioni, la facessero, disfacessero e rifacessero ogni giorno dopo le elezioni dalle parti del Parlamento. La chiamammo democrazia governante, una democrazia che, quindi, decide. E così dopo venti anni continuiamo a chiamarla in attesa che la transizione finalmente si compia. Ma l'inizio fu quello".

Cosa resta della stagione dell'Ulivo oggi? "Resta il mandato a portare a compimento il progetto di rinnovamento della società e di riforma delle istituzioni che alla vigilia delle elezioni precipitò nel libretto verde delle 88 tesi del programma di Prodi. E resta la consapevolezza di quanto grande fosse ancora una volta il mare che sta tra il dire e il fare, ma resta anche la convinzione della attualità delle cose che furono allora dette e dell'urgenza che siano finalmente fatte. E, da ultimo ma non per ultimo l'eco del nome Ulivo e sullo sfondo l'indimenticabile suono della Canzone Popolare".

"Mentre già si avvicina la fine del trentennio che ci separa dall'ammainabandiera dei vessilli che avevano guidato il lungo dopoguerra, l'Ulivo resta nel lessico politico tra i segni nuovi uno dei pochi ancora vitale. Nel contrasto appassionato tra le sue diverse letture, così come nel suo mito, almeno nel campo del centrosinistra, l'Ulivo appare come un nome stabilmente iscritto nella pagina 'Sì'. Certo io non sono un osservatore imparziale. Ma come ignorare il moltiplicarsi di citazioni e di rivendicazioni di ascendenze uliviste che nel linguaggio politico crescono ogni giorno di più?".

E nel Pd di Matteo Renzi? C'è ancora l'Ulivo? "Renzi è Renzi ma che sia figlio dell'Ulivo tuttavia è un dato di fatto. Non solo figlio perché 'nato dopo l'Ulivo', perché assieme alla maggioranza della sua generazione, quella dei nati nel 1975, sul segno dell'Ulivo ha barrato il suo primo voto guidato dalle sue idee nell'esercizio della cittadinanza. A cominciare da quella di un Pd aperto a tutti senza riguardo alle provenienze passate. Ma figlio, perché 'nato dall'Ulivo'. Senza l'Ulivo il suo percorso non sarebbe stato pensabile. Basti per tutto il ruolo che lungo tutta la sua avventura politica ha avuto la sua scommessa sulle primarie che dell'Ulivo sono state assieme al Pd il lascito più evidente. Che poi qualcuno, perfino tra gli ulivisti, possa non riconoscersi in lui perché di lui non condivide nè linea nè lineamenti, o ne contesti il fare e i fatti è comprensibile, ma è un'altra cosa".

Lei tempo fa disse 'sto con Renzi, è D'Alema che ha soffocato l'Ulivo', lo pensa ancora? "Una dichiarazione che non avrei fatto se non fosse stato D'Alema a riaprire il problema. E tuttavia quella è la verità. Al di là dei singoli episodi, e, in particolare della scelta finale che nel 1998 lo portò, più che a cedere, a condividere con Cossiga la decisione di porre fine ad una stagione. Così come dell'Ulivo Renzi è certamente uno dei figli, dell'Ulivo D'Alema può di certo dirsi uno dei padri. Tuttavia solo all'anagrafe. Nella storia, dell'Ulivo D'Alema accettò infatti di essere solo un padrino anche al prezzo di sembrare un patrigno, non certo un padre. Per sua scelta, la sua intelligenza e ancor di più la sua passione si indirizzò invece senza incertezze altrove e si spese per un disegno diverso. Una scelta legittima. E, tuttavia, anche se sfortunata e perdente, una scelta perfino doverosa per chi come D'Alema è stato l'ultimo segretario del partito nato in continuità diretta col Pci e il primo segretario dei Ds, pensati per superarlo e perpetuarlo".

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