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Siri, Conte: "Se mi convinco di dimissioni no alternative"

26 aprile 2019 | 10.14
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Il caso continua a tenere banco. Salvini: "Non commento quello che decideranno gli altri". Di Maio: "Il sottosegretario dovrà lasciare". Intercettazione depositata al Riesame.

Immagine di repertorio (Fotogramma)
Immagine di repertorio (Fotogramma)

"Se mi dovessi convincere di questa soluzione, non credo ci siano alternative, lo vedremo a tempo debito" ha detto il premier Giuseppe Conte a Pechino, parlando dell'ipotesi di dimissioni del sottosegretario Armando Siri e del modo in cui convincerlo a lasciare. "E' chiaro che quando riassumerò la posizione del responsabile del governo, la considerazione umana verrà tenuta in conto, ma non sarà determinante". "Ieri - ha detto il premier - ho parlato con lui, gli ho detto che non potevamo vederci perché partivo per la Cina, mi sono anche scusato perché c'è la considerazione umana nei confronti di una persona che aspetta il presidente del Consiglio che vuole spiegazioni". Intanto oggi i magistrati romani hanno depositato al tribunale del Riesame di Roma un'informativa della Dia in cui sarebbe contenuta l'intercettazione ambientale che riguarderebbe, secondo l'accusa, il sottosegretario Armando Siri. L'atto però, ha già spiegato l'avvocato Gaetano Scalise, difensore di Paolo Arata non è ancora arrivato alle parti. Il caso Siri non smette di essere al centro di un duro scontro all'interno del governo.

Sulle dimissioni Di Siri il Movimento non molla. Il sottosegretario sarà costretto alle dimissioni. Ne è convinto il vicepremier e ministro Luigi Di Maio che, in un'intervista al Corriere della Sera, è tornato ad attaccare il sottosegretario leghista invocando ancora una volta un passo indietro. Ma sulla tenuta della maggioranza, il capo del M5S rassicura: "Il governo è uno e c'è un contratto. Non si è rotto nulla, per noi va avanti. Vogliamo fare tante cose e in squadra. Mi auguro valga lo stesso per la Lega. Sapevo che non sarebbe stato semplice. Non mi delude la Lega, mi impensierisce quando evoca crisi di governo irresponsabili".

Di Maio dichiara di fidarsi ancora dell'alleato Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell'Interno: "Di lui sì, meno di chi gli sta intorno". Il riferimento è "a questo Paolo Arata che avrebbe scritto il programma sull'energia della Lega, che lo propose alla guida dell'Autorità Arera e che, per le inchieste, è il faccendiere di Vito Nicastri, vicino alla mafia. Credo che la Lega debba prendere le distanze da lui e chiarire il suo ruolo, visto che il figlio è stato assunto da Giorgetti". Secondo Di Maio, dunque, Salvini "deve rispondere ai cittadini, non a noi. Noi abbiamo fatto quello che dovevamo, togliendo le deleghe a Siri. Questo attaccamento alla poltrona non lo capisco. Gli abbiamo chiesto un passo indietro. Continui a fare il senatore, non va mica per strada. Certo che Conte dovrebbe spingerlo alle dimissioni. E lo farà, ne sono sicuro. Deciderà lui come".

Dal canto suo Salvini fa capire che la corda sta diventando davvero troppo tirata. "Siri? Non commento quello che decideranno altri, parlo di vita reale" ha detto a margine di un'incontro per le amministrative. "Io di pazienza ne avrei, ma la gente si avvicina per fare selfie, stringermi la mano e mi dice: Matteo, ma questi 5 Stelle vogliono continuare ancora così? Ti attaccano sempre? Perché non rompi?", ha detto in un colloquio sulle pagine di Repubblica. "Io non voglio fare polemica, nonostante tutto quel che mi è stato detto in queste ore - assicura il responsabile del Viminale - ma mi chiedo se la mia stessa pazienza ce l'hanno ancora gli elettori che hanno voluto questo governo". Quanto a Di Maio, "non l'ho sentito e non rispondo alle provocazioni". Salvini si sofferma dunque sul caso Siri, con il premier Giuseppe Conte chiamato a fare da 'arbitro', "il presidente del Consiglio è libero di incontrare chi vuole - dice il leader della Lega - Io con Siri ho parlato, mi ha detto di essere tranquillo e tanto mi basta. Per me deve restare al suo posto". "Spero abbia modo di spiegare ai magistrati - prosegue il ministro dell'Interno - che in un Paese normale lo avrebbero chiamato dopo un quarto d'ora, non settimane dopo".

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