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Lettera aperta di Siri a Grillo

17 ottobre 2019 | 22.00
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Su FB: "Perseguitare tutti non è la strada giusta"

(FOTOGRAMMA)
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"L’Elevato (a detta Sua) attuale Presidente del Consiglio sostiene che per pagare meno occorra prima perseguitare tutti. Eppure qualcosa in cuor mio mi dice che questa non sia la strada giusta. È una strada che non ha mai pagato, non è altro che una coazione a ripetere di una nevrosi tutta italiana utile a giustificare la povertà. Povertà non solo economica. Povertà di desideri, di progetti, di ambizioni, di fiducia, di immaginazione". Lo scrive su Facebook il senatore leghista Armando Siri in una lettera aperta a Beppe Grillo. "L’idea di perseguitare i 'ricchi' che sono tali solo perché evasori è un modo per assolvere strumentalmente chi decide di non osare, di non mettersi in gioco, di non rischiare e pretende che tutto gli sia dovuto dallo Stato. Uno Stato che veste i panni di Robin Hood, rubando ai 'ricchi' per dare ai 'poveri' che rimangono però sempre più poveri. Di futuro", osserva Siri.

"C’è forse qualche Elevato -aggiunge- che capisce che punizioni, sanzioni, persecuzioni di massa in campo fiscale non servono a nulla se non ad alimentare frustrazione e sconforto negli animi di coloro che vogliono costruire opportunità di lavoro, di crescita economica e non accettano di avere un Socio-Stato che non solo non fa nulla tutto l’anno, ma anzi mette continuamente i bastoni fra le ruote e poi pretende di incassare quasi tutti i guadagni?".

"Chi giudica lo fa sempre sulla base delle convenzioni e della morale del momento, ma proprio perché lo spazio non può contenere tutto il tempo, quelle convenzioni e quella morale si modificano con l’evoluzione. Ciò che era 'morale' 500 anni fa oggi è immorale e viceversa" scrive ancora.

"Nessuno oggi penserebbe sia giusto bruciare viva una donna soltanto perché ha un paio di gatti neri e si prepara una tisana di Malva in una notte di Luna piena. Oggi semmai - osserva - invochiamo le manette per chi non rispetta Leggi che, ad esempio, pretendono a favore dello Stato più del 60% dei frutti del proprio lavoro. Magari fra 200 anni (spero molto meno) guardando indietro il nostro metro di giudizio sarà cambiato. In meglio? In peggio? Ai posteri l’ardua sentenza".

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