Tassazione dividendi, in Manovra la 'batosta' che minaccia investimenti e crescita. Il grido d’allarme degli esperti

La nuova norma, contenuta nell'articolo 18 della nuova legge di Bilancio, eliminerebbe l’esclusione del 95% dalla base imponibile per i dividendi ricevuti da partecipazioni sotto il 10% del capitale. Si rischia una moltiplicazione del carico fiscale

 - Ipa/Fotogramma
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23 ottobre 2025 | 17.23
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Una norma “mal coordinata e devastante” che rischia di mettere a repentaglio gli investimenti in economia reale in tutto il Paese. Le regole per la tassazione dei dividendi potrebbero cambiare. La norma, contenuta nell’articolo 18 della nuova legge di Bilancio, eliminerebbe l’esclusione del 95% dalla base imponibile per i dividendi ricevuti da partecipazioni sotto il 10% del capitale. La tassazione effettiva passerebbe dall’1,2% attuale al 24%, una batosta per le società che investono.

Le conseguenze inciderebbero su scelte di investimento fatte in anni precedenti con il rischio di “compromettere seriamente l’afflusso di ricchezza e investimenti sull’economia reale, in un momento cui l’Europa sta cercando strumenti per incentivarli” dice all’Adnkronos Paolo Ludovici, partner dello studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici. “È vero che la modifica normativa agirebbe solo sulle distribuzioni deliberate dal 2026 – aggiunge -, ma incide su scelte strategiche fatte in passato basate su principi radicati dell’ordinamento tributario italiano”. “Da sempre gli utili societari sono tassati dapprima quando sono prodotti e successivamente quando sono distribuiti, ma solo se tale distribuzione avviene fuori dal regime del reddito di impresa” rimarca Ludovici.

Gli effetti avrebbero ripercussioni su tutti i livelli della catena societaria: nel caso una holding possedesse meno del 10% di un’altra, la tassazione verrebbe ripetuta più volte lungo la catena. Il carico fiscale “si moltiplicherebbe, dall’1,2% al 24%, per ogni passaggio di dividendi, con il rischio di una doppia o multipla imposizione, penalizzando holding, family office, club deal (investimenti avanzati da un gruppo ristretto di investitori per unire risorse finanziarie così da acquisire partecipazioni ndr) e fondi di private equity che spesso richiedono il concorso di coinvestitori”. Verrebbero disincentivati i co-investimenti e le partecipazioni minoritarie in pmi e startup, oltre a mettere un potenziale freno a fusioni e aumenti di capitale: “Il rischio di scendere sotto il 10% del capitale potrebbe bloccare le operazioni di aggregazione e potrebbe disincentivare gli investimenti in quote minoritarie di startup e scaleup che potrebbero quindi non avere accesso alle risorse finanziarie necessarie per lo sviluppo”.

Quale soluzione? Il fiscalista avanza tre proposte minime. La prima riguarda la previsione di una clausola di salvaguardia che tuteli quanti hanno fatto investimenti precedenti, similmente a quanto messo in atto dalla Spagna: “Quando apportarono modifiche al regime di tassazione spagnolo, venne previsto un periodo di quattro anni per adeguarsi al cambio”. La seconda è di armonizzare il trattamento di dividendi e plusvalenze per una coerenza di sistema. La terza di includere una seconda soglia determinata in funzione del valore assoluto dell’investimento. Auspicabile anche una deroga per investimenti in imprese innovative.

“Resta fermo – conclude Ludovici - che anche se la norma dovesse essere modificata o addirittura revocata, la sola proposta ha creato una situazione di incertezza in capo agli investitori le cui ricadute le vedremo nei prossimi anni”.

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