
Il nuovo Documento programmatico di finanza pubblica definisce il perimetro della prossima Legge di Bilancio. Approvato nel corso della riunione del Consiglio dei ministri del 2 ottobre, contiene l’aggiornamento del quadro macroeconomico con le previsioni di andamento del deficit e di crescita del Pil nei prossimi anni. Il Documento conferma l’andamento dell’indebitamento netto previsto dal Piano strutturale di bilancio e ribadito nel Dfp dello scorso aprile, ovvero il 2,8% per il 2026, il 2,6% per l’anno 2027 e il 2,3% per il 2028, andamento che permette di rispettare il percorso di spesa netta concordato a livello UE. Il rapporto deficit/Pil al momento si attesta al 3%, mentre il Pil per il 2025 è allo 0,5%. Per i prossimi anni il tasso di crescita del valore del Pil programmatico si attesta allo 0,7% per il 2026, 0,8% per il 2027, 0,9% nel 2028. Inoltre, viene dato conto dell’incremento dello 0,15% nel 2026 per spese per la difesa, che sale allo 0,3% nel 2027 e allo 0,5% nel 2028. Tra le altre indicazioni contenute del Dpfp, le linee strategiche che vedranno applicazione nella manovra: la riduzione dell’incidenza del carico sui redditi da lavoro e rifinanziamento del fondo sanitario nazionale; la previsione di specifiche misure per stimolare gli investimenti delle imprese e garantire la competitività; la previsione di misure per il sostegno alla natalità; la combinazione tra misure sulle entrate e interventi sulla spesa, proprio per finanziare la prossima manovra. Come ogni anno, con poche risorse a disposizione, sarà necessario selezionare gli interventi, tenendo insieme la spinta delle forze politiche e i vincoli di bilancio. La domanda principale riguarda la riduzione delle tasse. Sarà tagliata l’Irpef? Di quanto e a chi? Sta prendendo sostanza l’ipotesi di una riduzione della seconda aliquota fiscale, quella che si applica atra 28 e 50 mila euro, dal 35 al 33%. L’operazione costerebbe circa 3 miliardi di euro e porterebbe benefici a 9,5 milioni di contribuenti, con minori tasse variabili tra poche decine di euro e un massimo di 440 l’anno. La discussione tra i partiti riguarda soprattutto la definizione di ceto medio, ed è ancora aperta. Bisogna tenere presente, in ogni caso, che i contribuenti che dichiarano più di 50 mila euro l’anno sono 3 milioni e quelli che stanno oltre i 100 mila euro meno del 2% del totale. Escludere i redditi oltre questo livello ridurrebbe il costo dell’operazione di circa 200 milioni, ed avrebbe una valenza più simbolica che sostanziale. Poi ci sono le richieste dei singoli partiti. Restando nella maggioranza, Forza Italia chiede la detassazione delle tredicesime, ma anche di straordinari e premi di produzione. È un’operazione che però costa molto in termini di finanza pubblica, e non sembrano esserci i margini sufficienti d’azione. La Lega insiste sulla la flat tax del 15% sui redditi da lavoro autonomo, che vorrebbe estendere dagli 85 mila attuali a 100 mila di reddito annuo. E anche qui, come per la detassazione di tredicesime e straordinari, si porrebbe un problema di risorse.