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Calcio

Il figlio di Paparelli a 40 anni dalla morte: "Ogni insulto riapre ferita"

24 ottobre 2019 | 16.15
LETTURA: 4 minuti

Gabriele racconta all'Adnkronos: "Quante scritte ho cancellato in questi anni...". Pino Wilson: "Così affrontai la rabbia della Nord"

Foto Adnkronos - (ADNKRONOS)
Foto Adnkronos - (ADNKRONOS)

Ancora oggi, dopo 40 anni, ogni volta che vede una scritta ingiuriosa sui muri di Roma si ferma a cancellarla, "sperando che chi compie questi gesti vili si renda conto che così facendo riapre una ferita che fa soffrire tutta la mia famiglia, quante ne ho cancellate in questi anni. Così come fa male ascoltare allo stadio i cori di scherno verso mio padre, per fortuna sempre più rari, o leggere sui social gli insulti dei 'leoni da tastiera’'". Gabriele Paparelli non si arrende. Quando suo padre Vincenzo fu ucciso, allo stadio Olimpico prima di un derby, da un razzo sparato dalla curva sud romanista, lui aveva solo 8 anni. Eppure quel giorno è ancora stampato nella sua memoria "come se fosse accaduto ieri".

"Ricordo –dice all’Adnkronos Gabriele Paparelli- che quella mattina pioveva, poi uscì un po' di sole e mio padre a quel punto decise di andare a vedere la partita. Io piangevo perché volevo andare con lui, ma mi disse che ero troppo piccolo e che non se la sentiva di portarmi al derby per paura di possibili disordini. Poi arrivò quella notizia terribile". In tutti questi anni Gabriele si è sempre voluto "esporre pubblicamente per diffondere un messaggio positivo. Per superare l’odio e il rancore. Ho vissuto sulla mia pelle che cosa possono significare l’odio e il rancore, so cosa vuol dire quando la violenza trascende".

"Il mio sogno – aggiunge – è promuovere un ambiente in cui si possa vivere il calcio in maniera sana, corretta, tornare a quando le tifoserie avversarie stavano fianco a fianco sugli spalti. Questi sono i valori che cerco di diffondere: l’agonismo, lo sfottò tra tifosi sono cose normali, la violenza non è mai accettabile".

Quel 28 ottobre di 40 anni fa Pino Wilson si ritrovò a fronteggiare, da capitano della Lazio, la rabbia dei tifosi della Curva Nord che chiedevano che il derby non si giocasse più. "E l’atmosfera era tesissima. Noi giocatori ricevemmo le prime frammentarie notizie mentre uscivamo dagli spogliatoi e comprendemmo subito la gravità di quanto era accaduto. A quel punto – ricorda Wilson rievocando con l’Adnkronos quei momenti concitati – andai sotto la Nord e parlai con i tifosi, cercando di placare gli animi".

"Feci capire loro che se in quella circostanza così tragica le due tifoserie fossero entrate in contatto ci sarebbero stati gravissimi problemi di ordine pubblico e che quindi l’unica cosa da fare era giocare quella partita, nonostante tutto. Così fu, in quel clima surreale e nello sconcerto generale portammo a termine quel derby. A tutti noi rimase il dolore per quello che era accaduto e la consapevolezza che in quel momento non si poteva fare altro. A me personalmente piace sottolineare la dignità con cui il figlio Gabriele e tutta la famiglia Paparelli hanno affrontato questo lutto, senza mai una parola di odio e di rancore ma sempre cercando di diffondere un messaggio positivo".

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