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Il giornalista Marco Bova racconta 'Matteo Messina Denaro, latitante di Stato'

11 novembre 2021 | 11.50
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Errori e tentativi di ostacolare chi lavorava con impegno per la cattura del boss mafioso

Il giornalista Marco Bova racconta 'Matteo Messina Denaro, latitante di Stato'

Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993, ultimo dei boss protagonisti della stagione stragista di Cosa Nostra ancora a piede libero, è fra i latitanti più pericolosi al mondo. 'Figlioccio' di Totò Riina e indiscusso leader della mafia trapanese, Messina Denaro "pare un fantasma inafferrabile: in questi trent’anni, innumerevoli sono state le piste seguite, colossale lo sforzo profuso dallo Stato, mentre gli annunci di una cattura imminente continuano a susseguirsi. Speranze sempre frustrate". Ecco perché il giornalista Marco Bova ha deciso di scrivere un libro. 'Matteo Messina Denaro, latitante di Stato. Magistratura, forze dell’ordine, massoneria: tutta la verità sulle piste affossate' (Ponte alle Grazie), con una prefazione di Paolo Mondani e la collaborazione e la cura di Simona Zecchi, giornalista investigativa e autrice di inchieste.

In questo libro Marco Bova percorre nei dettagli ogni tentativo, ogni strada sbagliata, ogni inciampo attraverso un lavoro di indagine inedito e con l’apporto di fonti dirette, come quelle delle forze dell’ordine il cui lavoro è stato ostacolato. E impietosamente mette in evidenza gli errori, le dispute e le gelosie interne, le interferenze, la cronica mancanza di coordinamento e soprattutto i tentativi di affossare chi lavorava con impegno per la cattura. Dall’altra parte emerge una mafia in evoluzione, anzi già trasformatasi in una Cosa Nuova: i legami con la massoneria e con i 'salotti buoni', le infiltrazioni nel mondo dell’alta finanza, gli interessi internazionali. "Matteo Messina Denaro, erede della mafia rozza e brutale dei corleonesi, è il simbolo di questa mutazione - dice l'autore -Che lo Stato non riesce e a volte non vuole comprendere. Che lo Stato non sa o non vuole arrestare. Al centro della vicenda la storia sconcertante e inedita dell’appuntato della Finanza Carlo Pulici che, allontanato dalla Procura dopo essere stato coinvolto in indagini rivelatesi un bluff, scopre la sottrazione di alcuni file a lui solo in parte restituiti dopo il suo allontanamento. File che sono finiti in mani altrui".

"Tante le ricostruzioni e gli elementi inediti poi di questa lunga caccia che si pone lontano dal e in opposizione al gossip generato sinora con notizie o boutade sulla sua avvenuta cattura (settembre 2021), o sul volto che sarebbe relativo al 2009 apparso in TV, cosa non dimostrata - dice l'autore Bova -Alcune di queste ricostruzioni si soffermano sulla caccia a Bernardo Provenzano a cui parallela e senza focus scorreva già quella contro Matteo. Il faldone numero 10944/08 sulla sua cattura è aperto dal 1993 ma quello che è davvero rilevante spesso non va a confluire lì: per sovrapposizioni tra procure, forze dell’ordine e sezioni investigative apposite, non solo depistaggi ma anche voglia di mettere il cappello all’operazione che di fatto la ostacola. E ancora la grande indagine sulla massoneria legata a doppio filo all’imprendibile Matteo, affossata insieme a quelle che riguardano la sua caccia. Documenti inediti, testimonianze e interviste che al ritmo anche di un racconto personale che il giovane autore fa, esperto però di indagini e del territorio in cui tutto questo si muove e scorre, restituisce un quadro nuovo e clamoroso della mancata imperitura cattura di Matteo. Non mancano al contrario intercettazioni di magistrati che in qualche modo hanno favorito, non si sa se volontariamente o meno questo, infinito rimandarne la cattura. Il libro, la cui cornice si instaura tra prologo ed epilogo con l’intervista anch’essa inedita dell’ex sindaco e professore Antonio Vaccarino (utilizzato in passato dai servizi per avvicinarsi a Diabolik come anche Matteo viene chiamato), rilasciata all’autore prima di morire, rivela i chiaroscuri di questa lunga caccia senza abbandonarsi ai racconti speziati e pepati vicini piuttosto al “colore” che in questi anni hanno imperversato le cronache e le pubblicazioni".

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