
Come il premier ungherese ha costruito il modello di democrazia illiberale che ispira Trump, la destra Maga e una nuova generazione di leader dai metodi spicci
Viktor Orbán, primo ministro ungherese dal 2010 (e precedentemente dal 1998 al 2002), è una delle figure più controverse e influenti della politica internazionale, incarnando la transizione da giovane liberale a leader autoritario e modello di riferimento per i movimenti populisti di destra in tutto l'Occidente. La notizia che il prossimo incontro Putin-Trump si terrà a Budapest conferma una tendenza che non nasce certo oggi.
La parabola politica di Orbán è segnata da una delle più clamorose inversioni di rotta della storia contemporanea, con al centro il finanziere George Soros. Nel 1989, quando Orbán era un giovane attivista anti-comunista e co-fondatore del partito Fidesz, Soros gli concesse una borsa di studio per studiare la società civile al Pembroke College di Oxford. In quegli anni, il miliardario ungherese-americano distribuiva fotocopiatrici ai gruppi dissidenti per rompere il monopolio dell'informazione del Partito Comunista, e i giovani radicali intorno a Orbán furono tra i primi a beneficiarne. Soros donò anche fondi direttamente al neonato Fidesz, vedendo in Orbán un campione del liberalismo emergente. All'epoca, Orbán si definiva orgogliosamente liberale e condannava gli "attacchi malevoli" dei nazionalisti contro la presenza filantropica di Soros in Ungheria. Ma questa alleanza si è trasformata nel corso degli anni in una feroce ostilità: oggi Orbán ha fatto di Soros il nemico pubblico numero uno, espellendo dal paese la Central European University fondata dal finanziere e costruendo un'intera narrativa politica attorno alla minaccia delle "influenze straniere" di Soros.
Il luglio 2014 segna il momento della svolta definitiva e della teorizzazione esplicita del progetto politico di Orbán. Nel suo ormai celebre discorso a Băile Tuşnad, in Romania, il premier ungherese annunciò apertamente l'intenzione di costruire "un nuovo stato illiberale basato su valori nazionali", citando Cina, Russia e Turchia come esempi positivi da seguire. Orbán dichiarò che "non è impossibile, all'interno dell'Unione Europea, costruire uno stato illiberale che poggia su fondamenta nazionali". Il modello prevede l'eliminazione sistematica dei pesi e contrappesi sviluppati dalle democrazie liberali nel corso di tre secoli: dal 2010, con la maggioranza dei due terzi in parlamento, Fidesz ha riscritto la Costituzione senza il consenso dell'opposizione, riorganizzato la Corte Costituzionale con propri fedelissimi, creato una nuova legge elettorale con collegi ridisegnati in modo da favorire il partito di governo, e istituito un'autorità di controllo della stampa. Il risultato è una democrazia in cui si vota ancora ma in cui il potere esecutivo ha margini di manovra enormi e l'opposizione fatica a trovare i mezzi per competere. L'unico vero sfidante emerso in questi 15 anni, Péter Magyar, era un insider del sistema Orbán, sposato con l'ex ministra della Giustizia Judit Varga. La riscrittura dei collegi uninominali è così estrema che alle prossime elezioni Fidesz potrebbe perdere il voto popolare del 5-6% e comunque vincere la maggioranza parlamentare.
L'influenza di Orbán sulla destra americana è diventata negli ultimi anni un fenomeno centrale della politica statunitense. La Heritage Foundation, l'organizzazione conservatrice dietro il Project 2025, ha esplicitamente abbracciato il modello ungherese come riferimento per una futura amministrazione conservatrice. Kevin Roberts, il presidente, ha definito l'Ungheria "non solo un modello per la politica conservatrice, ma il modello" per l'istituzionalizzazione della politica culturale conservatrice. La Foundation ha stretto una partnership formale con il Danube Institute, think tank filo-Orbán, e ha ospitato il premier ungherese ai propri eventi. Il cuore del Project 2025 è l'idea che il controllo "liberal" (inteso all'americana, vicino al centro-sinistra) del deep State e della società civile debba essere smantellato attraverso la rimozione sistematica di funzionari pubblici considerati ostili, proprio come Orbán ha fatto in Ungheria purgando il settore pubblico e sostituendolo con lealisti. Orbán stesso ha coltivato attivamente questi legami, inviando copie della sua costituzione ai membri del Congresso americano, ospitando legislatori repubblicani a Budapest, e compiendo tre viaggi negli Stati Uniti nel 2024 per incontrare Trump. La destra americana vede nell'esperienza ungherese la prova che è possibile concentrare il potere nell'esecutivo, "armare" il bilancio nazionale per togliere i fondi agli avversari politici, e piegare le norme amministrative rimanendo formalmente all'interno delle istituzioni democratiche. Dalla prospettiva dei conservatori, si tratta solo di uno spoils system "accelerato", dalla prospettiva di chi viene espulso è una deriva autoritaria.
L'espulsione dal Partito Popolare Europeo nel marzo 2021, dopo anni di tensioni e sospensioni, avrebbe potuto rappresentare l'isolamento definitivo di Orbán nell'arena europea. Invece, il premier ungherese ha trasformato la marginalizzazione in un'opportunità di riorganizzazione della destra continentale. Nel giugno 2024, immediatamente dopo le elezioni europee, Orbán ha lanciato insieme all'ex premier ceco Andrej Babiš e all'austriaco Herbert Kickl l'alleanza "Patrioti per l'Europa", che si è costituita formalmente come gruppo parlamentare l'8 luglio successivo. In pochi giorni, l'operazione ha decretato lo svuotamento e la fine del gruppo Identità e Democrazia: il Rassemblement National di Marine Le Pen con 30 eurodeputati, la Lega di Salvini con 8, il partito olandese Pvv di Wilders, il Vlaams Belang belga e il Vox spagnolo hanno abbandonato le precedenti collocazioni per aderire al nuovo cartello guidato da Orbán.
Orbán è oggi considerato il più stretto alleato di Vladimir Putin all'interno dell'Unione Europea. Dal febbraio 2022, l'Ungheria si è rifiutata di fornire armi all'Ucraina o di permettere il transito di armamenti attraverso il proprio territorio. Budapest ha sistematicamente minacciato di porre il veto ai pacchetti di sanzioni europee contro la Russia, utilizzando questo potere di ricatto per ottenere concessioni. A fine gennaio 2025, Orbán ha minacciato di bloccare l'estensione semestrale di tutte le sanzioni economiche dell'Ue imposte alla Russia, riuscendo infine a ottenere garanzie scritte dagli altri stati membri prima di ritirare il veto. A marzo 2025, ha nuovamente tentato di annacquare le sanzioni individuali contro oligarchi e funzionari russi, richiedendo la rimozione di nove nomi dalla lista come condizione per non bloccare il rinnovo: alla fine è stato raggiunto un compromesso con la rimozione di quattro persone. Orbán giustifica questa posizione presentandosi come l'unico leader "pro-pace" in Europa, sostenendo che la guerra non può essere risolta sul campo di battaglia ma solo attraverso negoziati.
Nel maggio 2025, l'Ungheria è diventata il primo stato membro dell'Unione Europea a ritirarsi formalmente dalla Corte penale internazionale, notificando la decisione al Segretario Generale dell'Onu il 2 giugno dopo un voto parlamentare del 20 maggio. L'annuncio di Orbán era arrivato durante la visita a Budapest del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nonostante il mandato di arresto della Cpi contro di lui per l'accusa di crimini di guerra a Gaza. Il governo ungherese ha giustificato la decisione sostenendo che la Corte è diventata un "organismo politicamente motivato" e che l'esercizio della giurisdizione penale è una componente fondamentale della sovranità statale. In realtà, l'Ungheria non aveva mai trasposto lo Statuto di Roma nel diritto interno, rendendo il ritiro più simbolico che pratico, ma il messaggio politico è stato chiaro: Orbán si schiera contro le istituzioni di giustizia internazionale quando queste colpiscono i suoi alleati. La mossa è avvenuta nel contesto della stretta alleanza tra Budapest e Tel Aviv, con l'Ungheria che è uno dei più forti alleati regionali di Israele e ha costantemente denunciato il "pregiudizio anti-israeliano" della Corte.
L'annuncio di Trump sull'incontro con Putin a Budapest segna l'apoteosi della strategia di Orbán e la sua legittimazione come figura centrale di un nuovo ordine mondiale. Il premier ungherese ha celebrato l'evento sostenendo che "Budapest è l'unico posto in Europa dove un incontro del genere potrebbe avvenire, principalmente perché l'Ungheria è quasi l'unico paese pro-pace". Orbán ha presentato l'incontro come il risultato di "tre anni di politica coerente" di opposizione al sostegno occidentale all'Ucraina, e ha descritto la formazione di "una rete globale di leader statali che cercano soluzioni pacifiche in tutti i conflitti armati" attorno a Trump. Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szíjjártó ha parlato di Budapest come "isola di pace" pronta a ospitare il summit.
Questa narrazione rappresenta la formalizzazione di una nuova alleanza tra leader che sfidano l'ordine liberale internazionale precedente: Trump, Putin, Orbán stesso, e per estensione Netanyahu e i leader del Nord Africa e del Golfo che hanno partecipato alla firma della tregua con Hamas. Il modello è quello dei "deal" trumpiani: accordi pragmatici raggiunti con metodi spicci, al di fuori delle istituzioni multilaterali tradizionali, dove i rapporti personali tra "leader forti" contano più delle regole e delle procedure. Budapest diventa così il simbolo geografico di questa nuova geopolitica: una capitale europea ma fuori dal consensus europeo, un membro dell'Ue e della Nato ma alleato di Putin, un ponte tra Est e Ovest costruito sulla retorica della sovranità nazionale e del rifiuto del "liberalismo occidentale". Per Orbán, ospitare questo incontro non è solo un trionfo diplomatico, ma la conferma che il suo modello, un tempo considerato un'anomalia destinata all'isolamento, è diventato invece un punto di riferimento per una nuova generazione di leader mondiali. (di Giorgio Rutelli)