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Videomaker da Gaza: ''Ramadan sotto le bombe, non c'è cibo né moschee per pregare''

12 marzo 2024 | 17.15
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L'operatrice umanitaria e videomaker palestinese Jumana Shahin racconta come si vive il mese sacro all'Islam durante la rappresaglia israeliana. Si chiede ''come fanno gli altri musulmani a festeggiare'' e ''dov'è la pace che questo mese dovrebbe portare con sé''

Videomaker da Gaza: ''Ramadan sotto le bombe, non c'è cibo né moschee per pregare''

Nella Striscia di Gaza i militari israeliani ''continuano a bombardare, per ore, continuamente e senza sosta. La situazione peggiora, giorno dopo giorno''. E se ''il Ramadan è il mese di pace, di carità e di perdono'', l'operatrice umanitaria e videomaker palestinese Jumana Shahin si chiede: ''dov'è il Ramadan ora? Dov'è la pace, dov'è il cessate il fuoco, dove sono le persone che dovrebbero sostenerci e stare con noi?''. Contattata da Adnkronos nel centro della Striscia di Gaza, nella cosiddetta ''middle area'' dove si è trasferita all'inizio della rappresaglia israeliana con il marito e la figlia che ha compiuto due anni sotto le bombe, Shanin racconta che ''non possiamo nemmeno andare in moschea a pregare, perché il 90 per cento delle moschee di Gaza sono state colpite e distrutte''. Ma quello che fa più male, aggiunge, è l'impossibiltà di ''stare insieme alle persone a cui vogliamo bene, ai nostri cari''. Perché ''aspettiamo questo mese tutto l'anno'', ma nella Striscia di Gaza non si può più nemmeno andare a trovare i parenti a casa, ''perché le case sono state distrutto o, ancor peggio, perché i nostri parenti sono stati uccisi. Tanti, troppi''.

Ventotto anni, originaria di Gaza City, Shanin racconta che ''stiamo vivendo una situazione terrificante, non si può nemmeno immaginare''. Mentre la popolazione di Gaza ''spera in un cessate il fuoco che sarebbe dovuto coincidere con il Ramadan e invece così non è stato'', Shanin cerca di ''aiutare il mio popolo come posso''. Un sostegno che lei, come operatrice umanitaria, cerca di dare ''sfidando i bombardamenti che non smettono mai, ogni ora, in continuazione. Senza poter dormire, senza poter mangiare''. Perché il digiuno del Ramadan è in realtà un digiuno imposto fin dall'inizio del conflitto. ''Un mese dopo l'inizio dell'aggressione il cibo ha cominciato a scarseggiare. E così anche i beni essenziali, manca ogni caso letteralmente'', racconta, parlando di palestinesi ''affamati, assetati, impauriti. Abbiamo sacrificato la loro salute perché non c'è acqua pulita che possano bere''. E si chiede ''come fanno gli altri musulmani nel mondo a festeggiare il Ramadan pensando a come stiamo noi'' palestinesi della Striscia di Gaza. E ancora, aggiunge, ''come faccio a mangiare io pensando a un bambino che non ha da mangiare? Tutto questo non è accettabile''.

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