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Manfredi: "Un film su Sordi perché oggi per i giovani 'Albertone' è uno sciatore"

23 febbraio 2020 | 15.39
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Luca Manfredi (foto Fotogramma)
Luca Manfredi (foto Fotogramma)

di Ilaria Floris

"Un recente sondaggio chiedeva ai giovani chi fosse il nostro 'Albertone nazionale': la maggior parte ha risposto 'uno sciatore' (Alberto Tomba, ndr), altri 'un conduttore di documentari' (Alberto Angela, ndr). Alberto Sordi appartiene al patrimonio artistico e culturale del nostro paese, e questo patrimonio non può rischiare assolutamente di essere dimenticato". A dirlo è l'attore e regista Luca Manfredi, figlio dell'indimenticabile Nino che, in un'ampia intervista con l'Adnkronos, spiega cosa lo abbia spinto a realizzare per la Rai un film sul grandissimo interprete del cinema italiano.

"Quest'anno cade il centenario della nascita di Sordi e abbiamo pensato di festeggiarlo con la Rai con un omaggio che racconta un giovane Sordi inetto e privato", spiega Luca, che ha diretto la pellicola che andrà in onda nelle sale cinematografiche da domani solo per tre giorni: 24, 25 e 26 febbraio, e verrà trasmesso dalla Rai il prossimo 21 aprile, durante il Natale di Roma. "Quando quattro anni fa decisi di fare un film su mio padre -racconta Manfredi- lo feci perché mi ero accorto che quasi nessuno degli amici sedicenni di mio figlio lo conosceva. Così si rischia di dimenticare in pochi anni miti come Totò, Anna Magnani, Stanlio & Ollio. Siamo un paese che dimentica in fretta, non possiamo permetterlo".

Ciò che emerge di Alberto Sordi dal film "é soprattutto la sua grande determinazione -racconta Manfredi- La pellicola racconta i primi 20 anni della'avventura artistica di Sordi, a partire dal '37, quando fu cacciato dall'Accademia dei Filodrammatici di Milano, e la sua insegnante gli disse che lui non sarebbe mai diventato un vero attore, fino al '57 quando il grandissimo successo di 'Un americano a Roma' lo consacra alla fama e alla notorietà. Lui voleva fare l'attore fin da bambino, non si è mai scoraggiato e ci è riuscito entrando nella storia".

Il film mette in evidenza anche gli aspetti meno noti di Sordi, che il regista ha conosciuto di persona avendo frequentato fin da piccolo il grande attore. "La sua fragilità, la sua debolezza, il complesso per il 'faccione' -ricorda il figlio di Nino- che non corrispondeva ai cliché di bellezza del tempo. Ed anche aspetti più privati, come la storia d'amore con Andreina, di 15 anni più grande di lui, il rapporto con la madre, l'amicizia con Aldo Fabrizi, l'incontro con Corrado".

E se Sordi è stato forse il maggior interprete di un genere che ci ha reso famosi in tutto il mondo, la commedia all'italiana, "riuscendo a raccontare i sogni e i drammi di un paese appena uscito dalla guerra col sorriso e l'ironia ma anche con uno sguardo molto critico", è stato anche l'attore che ha rappresentato meglio di tutti l'italiano medio. "E' stato è le due facce della stessa medaglia -spiega bene Manfredi- regalandoci una galleria di personaggi indimenticabili: l'eroe e il vigliacco, l'ingenuo e il cinico calcolatore, la vittima e il persecutore".

In oltre 200 film, "è riuscito a trasferire pregi e difetti di tutti noi italiani, facendoci ridere e piangere allo steso tempo come solo un grande attore e artista sa fare", dice Manfredi. E rivela un aneddoto inedito, ovvero di essere stato presente a quella che è forse una delle più celebri frasi di Alberto Sordi. "Durante un pranzo con mio padre, in cui preparavano un film insieme, a tavola, Sordi vedendo la nostra famiglia disse: Nino, che bella famiglia che hai. E quando mio padre gli chiese cosa aspettasse a farsene una propria, lui rispose: 'E che sei matto? Che me metto, un estraneo in casa?'".

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