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Iran, amnistia per Sakineh: "Liberata la donna condannata a lapidazione"

19 marzo 2014 | 20.48
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Iran, amnistia per Sakineh:

Roma, 19 mar. - (Adnkronos/Aki) - "Sakineh Ashtiani è stata amnistiata e rimessa in liberta'". E' quanto sostiene l'avvocato italiano Bruno Malattia, che da anni segue il caso della donna iraniana che nel 2006 è stata condannata alla lapidazione per adulterio e per il suo presunto coinvolgimento nell'uccisione del marito.

"Il provvedimento di clemenza - scrive in un comunicato l'avvocato di Pordenone, che ha patrocinato le ragioni di Sakineh al Parlamento europeo insieme al Comitato internazionale contro la pena di morte e la lapidazione - è stato adottato ieri in coincidenza con l'anno nuovo secondo il calendario iraniano. L'annuncio è stato dato da Mahamad Javad Larijiani, Segretario Generale del Consiglio Superiore iraniano per i diritti umani, e diffuso dalla stampa governativa del paese".

Manca ancora una conferma alla notizia da parte dei familiari della donna, per la quale nel 2010 era stata organizzata una campagna di mobilitazione internazionale alla quale aveva preso parte anche l'agenzia Aki-Adnkronos International. "Anche se le autorità e la stampa iraniane hanno cercato di attribuire la decisione all'equità e alla magnanimità del sistema giudiziario di quel paese - dice l'avvocato Malattia - il felice epilogo della vicenda che ha coinvolto Sakineh è dovuto alla campagna internazionale contro l'ingiusta condanna alla lapidazione pronunciata dal Tribunale islamico".

IN CARCERE OTTO ANNI - La vicenda di Sakineh Ashtiani è iniziata nel 2006 con il suo arresto per adulterio. Messa in prigione a Tabriz e condannata a 99 frustate, poco dopo la donna fu accusata di avere una relazione con l'assassino del marito e nuovamente processata per adulterio e per complicità nell'omicidio. Una sentenza della Corte Suprema nel 2007 la condannò alla lapidazione, ma la sua esecuzione fu rinviata in seguito alla presentazione di un ricorso.

La vicenda balzò all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale all'inizio della primavera 2010, quando una grande mobilitazione internazionale, a cui contribuì la campagna lanciata da Aki-Adnkronos International, spinse le autorità di Teheran a parlare di sospensione della sentenza. Ma a luglio 2010 l'allora ministro degli Esteri, Manouchehr Mottaki, intervenne per precisare che la sentenza non era sospesa ma, semplicemente, la procedura giudiziaria non era ancora conclusa.

L'11 agosto di quell'anno, Sakineh fu intervistata in diretta, dal braccio della morte della prigione di Tabriz, sulla tv di Stato e ammise di essere colpevole sia di adulterio che di complicità nell'omicidio del marito. Una confessione che, a detta degli attivisti e dei familiari della donna, fu estorta con la forza, ma che produsse un effetto boomerang, accendendo ancor di più i riflettori sul caso.

Dagli Stati Uniti parti' un appello di premi Nobel e star di Hollywood, dalla Francia quello dell'allora premiere dame Carla Bruni (per questo definita "prostituta" dalla stampa iraniana ultraconservatrice), dall'Italia quello di media come Aki, a cui si associano politici, intellettuali e 'big' dello sport, tra cui Francesco Totti. All'inizio di settembre 2010, in un'intervista ad Aki, il figlio di Sakineh, Sajjad Ghaderzadeh, annunciò che la madre era stata sottoposta a ulteriori 99 frustate sulla base della falsa accusa di corruzione e indecenza per aver fornito al 'Times' di Londra una sua foto senza velo. Una foto che in realtà ritraeva un'altra donna ed era stata erroneamente attribuita a Sakineh.

Sajjad chiese inoltre l'intervento del governo italiano e del Vaticano per fermare la mano del boia. Intanto, soprattutto in Italia e Francia, le piazze si riempivano di manifestanti pro-Sakineh e di gigantografie della donna, esposte anche sui municipi di Roma. Il Parlamento europeo, grazie all'attivismo di molti deputati, tra cui la vice presidente Roberta Angelilli, votò una risoluzione di condanna nei confronti di Teheran e chiese di salvare la vita della donna.

Teheran cominciò a sentirsi alle strette e il ministero degli Esteri, tramite il suo portavoce Ramin Mehmanparast, accusò Italia e Francia di essersi attivate sulla base di informazioni false. Ma poi, l'8 settembre, fu lo stesso Mehmanparast ad annunciare che la lapidazione di Sakineh era stata sospesa. Ma l'attenzione sul caso non calò, con l'avvocato della donna, Javid Houtan Kian, che annunciò che non esisteva un provvedimento formale di sospensione, che il suo ricorso alla Corte Suprema era stato bloccato e che molti atti relativi al caso erano scomparsi.

Il 19 settembre 2010, in modo inatteso, fu l'allora presidente Mahmoud Ahmadinejad a gettare acqua sul fuoco, assicurando in un'intervista alla 'Abc' che la notizia della condanna alla lapidazione era falsa e che Sakineh aveva "comunque diritto a quattro gradi di giudizio". Un elemento caratterizzante della vicenda è stato proprio il fitto susseguirsi di conferme e smentite, come dimostra quanto avvenuto il 28 settembre 2010, quando il procuratore iraniano Gholam-Hossein Mohseni-Ejei affermò che la donna non sarebbe stata giustiziata per lapidazione ma per impiccagione in quanto colpevole di omicidio.

Solo poche ore dopo le frasi del procuratore furono smentite dal ministero degli Esteri di Teheran, secondo il quale non c'era una sentenza definitiva sul caso. La vicenda portò l'11 ottobre all'arresto del figlio della donna, del suo ex avvocato e di due giornalisti tedeschi che li stavano intervistando nello studio del legale. Il figlio della donna fu rilasciato due giorni dopo su cauzione. I due giornalisti della Bild am Sonntag furono rilasciati a febbraio 2011, grazie anche ai ripetuti appelli della Germania.

A dicembre 2011 Malek Ajdar Sharifi, il capo della magistratura dell'Azerbaijan Orientale, provincia dell'Iran settentrionale, riferendosi al caso Sakineh affermò che "gli esperti islamici stanno riesaminando la sentenza per valutare la possibilità di giustiziare per impiccagione una donna condannata alla lapidazione". Le dichiarazioni di Sharifi sollevarono le critiche di molti attivisti e pochi giorni dopo arrivò la smentita: "Il suo caso segue il suo corso normale in conformità alla legge", affermò il magistrato. Da allora sulla vicenda è calato il silenzio, fino all'atteso annuncio dell'amnistia e della liberazione di Sakineh.

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