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La ricerche dell'autonomia: dal bitcoin legale di El Salvador ai telefonini cubani

11 giugno 2021 | 13.17
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Nella nuova simbiosi tra banche e fintech si stringe la morsa di un controllo sempre più serrato degli spazi tecnofinanziari della geopolitica. Con alcuni timidi esperimenti di autarchia.

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Sembra preistoria quando alcuni anni fa persone come il presidente esecutivo della banca spagnola Bbva preannunciavano una situazione in cui le grandi società tecnologiche avrebbero potuto sostituire molti istituti bancari chiedendo al G20 un intervento per non “mettere a rischio la stabilità finanziaria” internazionale in un settore, come quello dei pagamenti, in cui l'avvento delle grandi piattaforme veniva percepito chiaramente come un grosso problema per le banche, ma anche per l'intera società a causa di una paventata ed eccessiva “concentrazione di potere”. Oggi, tutta questa infiammata contrapposizione tra banche e grandi società fintech non si vede più granché all'orizzonte. Sia perché si è creata una sorta di simbiosi nel tempo: lo sviluppo di piattaforme informatiche, di servizi cloud, di strumenti per la sicurezza informatica, di tecnologie per gli sportelli virtuali... sono tutti business che hanno portato a fare delle banche una fonte di entrate decisamente importante per le società fintech. Sia perché, sull'altro versante, le banche annusano gli affari che stanno dietro lo sviluppo delle potenzialità finanziarie delle maggiori startup di settore, tanto sui sistemi di pagamento quanto attorno alle criptovalute e, soprattutto, alle tecnologie che le sostengono. Si può tranquillamente considerare il fatto che ormai che le fintech e le grandi banche siano interdipendenti piuttosto che rivali.

All'interno di questa simbiosi sempre più pervasiva comincia a smuoversi una certa preoccupazione, soprattutto in quei paesi che strutturalmente sono sotto la pressione tanto dell'imperialismo tecnologico quanto di quello finanziario connesso anche al sistema bancario internazionale. È di ieri la notizia che bitcoin è diventato valuta legale per legge in El Salvador, il che di fatto rende il piccolo paese centroamericano il primo al mondo a legalizzare una criptovaluta. Mossa che, da un parte secondo gli analisti rischia di mettere l'economia in balia delle forti oscillazioni della valuta digitale, dall'altra, sono gli auspici del governo, potrebbe migliorare l'inclusione finanziaria che tocca il 70% della popolazione. Stiamo parlando di uno dei paesi più poveri della regione, con una popolazione di 6,5 milioni di abitanti e che ha utilizzato il dollaro USA come valuta ufficiale fin dal 2001. Con bitcoin si potranno, una volta entrata in vigore la legge, acquistare beni e pagare tasse e prestiti bancari. Le aziende sarebbero tenute ad accettare bitcoin per il pagamento, con il tasso di cambio bitcoin-dollaro fissato dal mercato. La conversione di bitcoin in altre valute non sarebbe soggetta all'imposta sulle plusvalenze, secondo la legge approvata del partito New Ideas del presidente Nayib Bukele. Ha dichiarato William Soriano, membro del partito di governo: “Bitcoiner di tutto il mondo, è arrivato il momento. Siamo pronti. Abbiamo fatto la nostra parte, ora la palla è dalla vostra”.

Mentre El Salvador cerca, con tutti i rischi del caso, la strada delle criptovalute per puntare su una tecnologia che possa sostenere il paese dalla pervasività del controllo finanziario e tecnologico degli Usa, altri come Cuba stanno provando a cercare un'autonomia imprenditoriale in alcuni settori chiave come la tecnologia. Il Presidente della Repubblica Miguel Diaz-Canel, è consapevole del fatto che l'avvento di Joe Biden alla presidenza Usa non comporterà, nonostante le promesse elargite in campagna elettorale, un ammorbidimento dei rapporti trai due paesi. Per questo, e per aggirare eventuali altri embarghi commerciali, sta intensificando le iniziative per rendere il Paese sempre meno dipendente dagli stranieri. In questo senso, l'Avana ha sviluppato propri vaccini contro il Covid e Cuba è l'unica nazione latinoamericana a vaccinare la sua popolazione senza aiuti esterni. Inoltre, piccolo segnale, ha appena annunciato che Gedeme, un'industria pubblica tecnologica cubana, ha prodotto un telefono con tutta la componentistica interamente realizzata nell'isola caraibica. Più di 6.000 copie dello smartphone verranno distribuite entro fine mese nei negozi dell'azienda nazionale di telecomunicazioni Etecsa.

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