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Puglia: Fillea, serve conciliazione vita-lavoro per addette distretto 'salotto'

04 marzo 2016 | 12.28
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Puglia: Fillea, serve conciliazione vita-lavoro per addette distretto 'salotto'

Più conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. E' la richiesta che arriva dalle lavoratrici del distretto pugliese del 'salotto', come emerge da una ricerca promossa da Fillea Cgil Puglia e nazionale , che è stata presentata oggi, a Bari, nel corso di un convegno organizzato dal sindacato. L'indagine è stata realizzata attraverso la somministrazione di un questionario con domande aperte, a cura di Letizia Carrera, docente di Sociologia all’Università di Bari. Dall'indagine si rileva che "più di due terzi delle lavoratrici dichiarano di avere attualmente problemi di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa e, tra quelle che dichiarano di non averne attualmente, una metà afferma però di averli avuti in passato".

Dalla ricerca emerge anche che "i ruoli ricoperti attualmente dalle lavoratici ascoltate sono sostanzialmente gli stessi del momento di ingresso nell’azienda, nonostante l’elevato livello medio di anzianità in servizio". "La specificità del settore - avverte - non consente infatti un elevato grado di crescita professionale in termini di carriera, come dichiara esplicitamente più del 90% delle intervistate. Ritroviamo così cucitrici, tagliatrici, scarnitrici, alcune caporeparto, qualche impiegata tra cui le due lavoratrici che si occupano del visual merchandising".

La ricerca del sindacato sottolinea che "la maggior parte di queste lavoratrici lavoravano già prima dell’ingresso in azienda, in alcuni casi in occupazioni del tutto compatibili con l’attuale professionalità (62,1%), in altri invece erano impegnate in occupazioni del tutto diverse (baby sitter, badante, commessa, cassiera, bracciante agricola, parrucchiera, segretaria presso studi di commercialisti o legali)".

"Evidentemente -si legge nel rapporto- tutti lavori pesanti in termini di orario e di energie necessarie, ai quali non corrispondeva un salario adeguato. Questo spiega perché la maggior parte delle lavoratrici ha accolto con entusiasmo la possibilità di essere impiegate nelle aziende prese in considerazione, e in modo particolare nella Natuzzi. Alcune di loro, non molte in realtà, soprattutto negli ultimissimi tempi, hanno cominciato a svolgere un’attività lavorativa (in nero) al di fuori della loro occupazione principale".

"Se si esclude l’unico caso di lavoratrice -spiega il rapporto- che dichiara di svolgere attività di volontariato come crocerossina, le pochissime altre motivano la loro scelta parlando di necessità economica per la perdita del lavoro del coniuge e di incertezza legata alla stabilità lavorativa. Alcune, inoltre, fanno intuire che durante la condizione di cassa integrazione, sono state contattate da aziende concorrenti per un lavoro in nero".

Quando è stato chiesto loro per quale motivo avessero iniziato a lavorare, quasi la metà delle donne, si legge nella ricerca, "ha parlato di necessità economica, mentre il 34% di indipendenza economica e il 17% di realizzazione personale". "Questo significa - spiega - che mentre le prime mostrano di aver un approccio più strumentale al lavoro, anche perché spinte dal bisogno di un reddito, le altre sottolineano gli aspetti più espressivi del lavoro stesso".

E le lavoratrici intervistate, in possesso di titoli di studio medi e medio-bassi, con almeno due figli, almeno uno dei quali di età inferiore ai 13 anni, rappresentano, spiega ancora l'indagine, "un perfetto esempio delle lavoratici che continuano ancora oggi a dibattersi con i problemi di conciliazione, vivendo appieno anche tutti i limiti legati alle rappresentazioni di genere tradizionali ancora pienamente operanti nella nostra cultura".

"Innanzitutto è da rilevare - rimarca - che più di due terzi delle lavoratrici dichiarano di avere attualmente problemi di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa e, tra quelle che dichiarano di non averne attualmente, una metà afferma però di averli avuto in passato".

"Alcune delle intervistate, poche in verità, sottolineano -si legge ancora nel rapporto- il ruolo fondamentale che le aziende hanno avuto nel supportarle nel tentativo di conciliazione di vita privata e vita lavorativa, soprattutto attraverso la concessione di permessi. Due lavoratrici arrivano addirittura a dichiarare che la condizione di cassaintegrate ha rappresentato una soluzione importante che ha consentito loro di gestire al meglio i tempi privati. La maggior parte, invece, dichiara di non essere stata supportata e di aver dovuto gestire i problemi nonostante l’azienda".

Le lavoratrici hanno anche indicato con estrema chiarezza quali soluzioni sarebbero o sarebbero state loro necessarie per affrontare al meglio i problemi legati alla cura dei figli e, più in generale, della loro vita privata. Molte parlano di una struttura come il nido aziendale che avrebbe consentito loro di 'avere i figli accanto durante il lavoro', con il risultato di poter essere più concentrate e soprattutto più serene e di vedere alleggerita tutta l’organizzazione relativa ai tempi di vita del figlio.

Sono in numero anche maggiore le lavoratrici che centrano l’attenzione su una serie di azioni positive riconducibili al welfare lavorativo aziendale, il part-time, la flessibilità oraria in entrata e in uscita, che per alcune arriva a significare, seppure implicitamente, una sorta di 'banca del tempo' individuale.

L’assenza di una strutturazione formalizzata di queste misure ha reso fondamentale, si legge ancora nel rapporto, "il livello di 'comprensione garantito dai responsabili che potevano discrezionalmente garantire o meno soluzioni singolari e contingenti". "Questo dato concorre a spiegare la grande attenzione rivolta al cambio dei responsabili che potevano incidere così profondamente tanto sulla vita lavorativa quanto anche su quella privata. Fattore, questo, che va messo in relazione con altre risposte che lamentano un continuo peggioramento della qualità dei rapporti con i propri responsabili aziendali", conclude.

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