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Nino Di Matteo: "O cambiamo noi magistrati o ci cambiano altri"

03 novembre 2019 | 15.07
LETTURA: 3 minuti

Il consigliere neo eletto del Csm: "L'ergastolo unica vera pena che spaventa i capi mafia"

Nino Di Matteo (Foto Fotogramma) - FOTOGRAMMA
Nino Di Matteo (Foto Fotogramma) - FOTOGRAMMA

"Nel momento in cui avevano perso prestigio è prevalsa in me la volontà di dare una mano e un contributo al recupero dell'autorevolezza. Sono certo che il Csm sotto la guida di Mattarella saprà emendarsi dalle colpe passate. O cambiamo noi o ci cambiano altri". Lo ha detto Nino Di Matteo, consigliere neoeletto del Csm, intervistato da Lucia Annunziata a 'Mezz'ora in Più'.

Rispondendo a una domanda sulle sue presunte simpatie per il Movimento 5 Stelle, Di Matteo ha evidenziato: "Io nella mia carriera e nelle mie esternazioni sono stato sempre indipendente né organico né collaterale rispetto a nessuno. Se non erro i 5 Stelle sono al governo dal 2018 e a me non è stato attribuito nessun incarico, quindi le voci di cui si è sempre parlato sono smentite dalla realtà".

Il magistrato è tornato anche sull'intervista tv a seguito della quale il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho lo estromise dal pool che indaga su stragi e mandanti esterni. "In quell'intervista non ho rilevato nulla di segreto, ho semplicemente messo in fila quello che di pubblico c'è nelle sentenze, negli atti processuali depositata che riguarda un argomento scottante che deve essere ancora approfondito e cioè la possibilità che insieme a uomini di cosa nostra ci sia una responsabilità per le stragi del '92 e del 93 e per il fallito attentato del '94 di persone di ambienti che non sono mafiosi".

"Evidentemente questo paese sconta deficit di memoria su questi fatti -ha poi proseguito-. Voglio riferirmi alla sentenza di Cassazione che ha condannato il senatore Dell'Utri per concorso in associazione mafiosa. In quella sentenza viene consacrato un dato: nel 1974 venne stipulato un patto tra le più importanti famiglie mafiose palermitane e l'allora imprenditore Berlusconi, questo patto è stato rispettato almeno fino al 1992 da entrambe le parti. Dell'Utri è stato condannato come intermediario di quel patto che ha visto protagonista anche l'allora imprenditore Berlusconi".

Parlando dell'ergastolo ostativo, secondo Di Matteo è necessario che "il legislatore metta dei paletti soprattuto nella parte che riguarda i contatti tra i mafiosi e i clan. La prova non può consistere solo nella valutazione del comportamento e della condotta in carcere. Inoltre potrebbe essere interessante e opportuno concentrare la competenza su queste decisioni su un unico singolo tribunale di Sorveglianza e non sui tanti territoriali". "L'ergastolo -ha evidenziato- è l'unica vera pena detentiva a spaventare i capi delle mafie" e inoltre "il tentativo di fare attenuare l'ergastolo spinse Cosa Nostra a ricattare a suon di bombe lo Stato, penso alle stragi del '93".

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