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Noury (Amnesty), 'per Djalali compleanno drammatico, chiediamo rilascio'

14 gennaio 2022 | 13.52
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Noury (Amnesty), 'per Djalali compleanno drammatico, chiediamo rilascio'

"Quello di oggi è un drammatico compleanno, il 50esimo, per Ahmad Reza Djalali. Lo trascorre lontano dalla sua famiglia in Svezia, chiuso in una cella di una prigione in Iran con un cappio che gli penzola pericolosamente vicino perché più volte la sua condanna a morte è stata annunciata come imminente e poi interrotta all'ultimo minuto. Djalali è un uomo di scienza, non è minimamente colpevole delle accuse di spionaggio in favore di Israele che gli sono state rivolte dalle autorità giudiziarie iraniane". Lo afferma in un'intervista ad Aki-Adnkronos International il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, commentando la situazione dell'ex ricercatore presso il Centro di Medicina dei Disastri (Crimedim) dell'Università del Piemonte Orientale, condannato a morte nel 21 ottobre 2017 e da allora chiuso in una cella minuscola, infestata da insetti, lontano dalla moglie e dai due figli che vivono a Stoccolma.

"Amnesty International continua a chiedere che sia scarcerato, che siano annullate le accuse e che possa ricongiungersi con la sua famiglia - prosegue Noury - e lo stesso chiediamo di molti altri detenuti in Iran, di doppia cittadinanza iraniana, ma anche con passaporti di Paesi europei come ad esempio la Gran Bretagna".

"Molti di loro sono in prigione con accuse false e pare siano di fatto ostaggi usati come pedine di scambio", aggiunge il portavoce, sottolineando che "la situazione nelle prigioni iraniane è drammatica: sono piene di detenuti politici, di difensori dei diritti umani tra cui ricordo Nasrin Sotoudeh e nel 2021 è stata registrata anche una pericolosa recrudescenza dell'uso della pena di morte con praticamente in media un'esecuzione al giorno".

Djalali, scienziato nato in Iran ma residente in Svezia, è stato arrestato nell'aprile 2016 mentre si trovava nel suo Paese di origine per motivi di lavoro. Nei suoi confronti non è mai stata presentata alcuna prova. In una lettera scritta dal carcere, nell'agosto 2017, ha accusato le autorità iraniane di aversi voluto vendicare per il suo rifiuto di collaborare a raccogliere informazioni riservate.

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