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Tensioni a Tor Sapienza, trasferiti di nuovo i 14 minori tornati al Centro: ''Era la nostra casa''

13 novembre 2014 | 15.26
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In mattinata i ragazzi erano tornati a via Morandi. La lettera: ''Temiamo per la nostra vita''. Fuksas: "E' guerra tra poveri, periferie abbandonate". Visita del leghista Borghezio nel quartiere. Scontri a Tor Sapienza, le immagini della Polizia/Foto

(Adnkronos)
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Riflettori puntati su Tor Sapienza, nella zona teatro di scontri nei giorni scorsi per le proteste contro la presenza degli immigrati ospiti del centro di accoglienza dei minori di via Morandi. Oggi nel quartiere è arrivato anche il leghista Mario Borghezio, l'eurodeputato che ha annunciato una 'marcia' sulle periferie di Roma. E questa mattina sono tornati a Tor Sapienza 14 ragazzi minori che ieri erano stati sgomberati dal centro 'il sorriso'. Sono arrivati da soli, scappando da dove li avevano sistemati. In mano tengono sacchetti di plastica con dentro i loro vestiti. Vorrebbero entrare in quella che sentono come la 'loro casa'. Ma le porte sono sbarrate. 'Non potete entrare, non potete stare qui', cerca si spiegare loro la direttrice del centro Gabriella Errico mentre i residenti urlano 'non li vogliamo'. 'Che facciamo, dobbiamo morire', chiede uno di loro. Dopo qualche ora i 14 ragazzi sono stati tutti trasferiti in un altro centro.

"È da tre giorni che viviamo nel panico, bersagliati e sotto attacco: abbiamo ricevuto insulti, minacce, bombe carta. Siamo tornati da scuola e ci siamo sentiti dire negri di merda; non capiamo onestamente cosa abbiamo fatto per meritarci tutto ciò. Anche noi viviamo i problemi del quartiere, esattamente come gli italiani: ma ora non possiamo dormire, non viviamo più in pace, abbiamo paura per la nostra vita. Non possiamo tornare nei nostri Paesi, dove rischiamo la vita, e così non siamo messi in grado nemmeno di pensare al nostro futuro", si legge in una lettera aperta dei rifugiati del Centro Morandi di Tor Sapienza.

"Tutti parlano di noi in questi giorni, siamo sotto i riflettori: televisioni, telegiornali, stampa. Ma nessuno veramente ci conosce. Noi siamo un gruppo di rifugiati, 35 persone provenienti da diversi Paesi: Pakistan, Mali, Etiopia, Eritrea, Afghanistan, Mauritania, ecc - spiegano - Non siamo tutti uguali, ognuno ha la sua storia; ci sono padri di famiglia, giovani ragazzi, laureati, artigiani, insegnanti... ma tutti noi siamo arrivati in Italia per salvare le nostre vite. Abbiamo conosciuto la guerra, la prigione, il conflitto in Libia, i talebani in Afghanistan e in Pakistan. Abbiamo viaggiato, tanto, con ogni mezzo di fortuna, a volte con le nostre stesse gambe; abbiamo lasciato le nostre famiglie, i nostri figli, le nostre mogli, i nostri genitori, i nostri amici, il lavoro, la casa, tutto. Non siamo venuti per fare male a nessuno".

"In questi giorni abbiamo sentito dire molte cose su di noi: che rubiamo, che stupriamo le donne, che siamo incivili, che alimentiamo il degrado del quartiere dove viviamo - proseguono - Queste parole ci fanno male, non siamo venuti in Italia per creare problemi, né tantomeno per scontrarci con gli italiani. A questi ultimi siamo veramente grati, tutti noi ricordiamo e mai ci scorderemo quando siamo stati soccorsi in mare dalle autorità italiane, quando abbiamo rischiato la nostra stessa vita in cerca di un posto sicuro e libero. Siamo qui per costruire una nuova vita, insieme agli italiani, immaginare con loro quali sono le possibilità per affrontare i problemi della città uniti insieme e non divisi".

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