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Internet: odio online, nasce start up per difendersi dagli 'haters'

29 ottobre 2019 | 14.35
LETTURA: 4 minuti

L'idea dell'imprenditore Francesco Inguscio: "Se insultare le persone con un click è facile, veloce e poco costoso, altrettanto deve esserlo difendersi"

Internet: odio online, nasce start up per difendersi dagli 'haters'

di Arianna Menotti -
"L'idea è nata da un bisogno che ho visto circolare nel web da alcuni anni. Ci penso dal 2017 e non essendoci a quel tempo, ma neanche oggi, un progetto che tende una mano alle persone vittime di odio online, ho pensato a una piattaforma legaltech che facilitasse l'accesso ai propri diritti, una sorta di piattaforma di diritto as a service". Francesco Inguscio, imprenditore seriale in ambito tecnologico e CEO di Nuvolab, spiega così all'Adnkronos la nascita di COP, una startup tecnologica ad alto impatto sociale che ha sviluppato 'Chi Odia Paga', la prima piattaforma legaltech italiana per difendersi dall’odio online.

Come spiega Inguscio, "se insultare le persone con un click è facile, veloce e poco costoso, nella mia visione deve esserlo altrettanto difendersi". "Premesso che io non sono un avvocato - ha continuato l'imprenditore - ho chiesto consiglio a Giuseppe Vaciago, uno tra i maggiori esperti di diritto applicato al digitale, il quale, anche se inizialmente mi diceva che il progetto non era possibile e molto complesso, mi ha appoggiato sottolineando che meritava di essere fatto".

Il progetto è sostenuto dal fondo di impact investing Oltre Venture, che nella startup ha investito 200mila euro in un primo round seed, e "per l'inizio del 2020 è previsto il rilascio della piattaforma", annuncia Inguscio, sottolineando che nel frattempo "siamo usciti allo scoperto per coinvolgere il mondo dell'industria, delle aziende, delle associazioni, delle istituzioni, nonché i soggetti pubblici e privati". "Secondo me è dovere morale e responsabilità sociale di chi fa innovazione, mettere dei progetti a disposizione di tutti gratuitamente. Questa è la mia scommessa", dice.

Ma come funzionerà questa piattaforma? Inguscio spiega che "partirà tutto dal permalink della conversazione dell'insulto". "Quindi, attraverso una serie di informazioni che andremo ad integrare, gestiremo tutto dall'inizio alla fine e l'idea è che tutta la procedura di difesa legale delle vittime di odio online avvenga online", dall’invio di diffide, esposti al questore, denunce e querele, in base alla gravità del reato commesso dagli 'hater'.

Secondo l’ultima 'Mappa dell’intolleranza' redatta da Vox Diritti, si legge in un comunicato, oltre il 70% di 215 mila tweet analizzati nel 2019 contiene messaggi di odio. Con la piattaforma anche le vittime di simili messaggi potranno, tramite COP, richiedere la rimozione degli insulti, svolgere le attività tecniche di preistruttoria, fino ad arrivare all’invio di diffide, esposti al questore, denunce e querele, in base alla gravità del reato commesso dagli 'hater'. "Questo è solo l'inizio - dice Inguscio - In questo momento la piattaforma è in versione beta privata, la stiamo testando con alcuni gruppi di persone a cui è caro il tema, dopodiché la renderemo accessibile a tutti e ognuno di noi avrà accesso ai suoi diritti con un click".

L'impreditore ci tiene infine a sottolineare che tutto avverrà nel "rispetto del diritto di cronaca, di libertà di opinione e di espressione". "Non vogliamo mettere in atto una censura. Il 95% delle volte non si compie un reato, ma si rientra nell'ambito dei diritti tutelati dalla Costituzione, esattamente come sono tutelati i diritti di chi viene leso".

Il CEO di Nuvolab commenta quindi la proposta del deputato di Italia Viva Luigi Marattin di "obbligare chiunque apra un profilo social a farlo utilizzando un documento d’identità". "Sicuramente risolverebbe il tema dell'identificazione, ma si entra nel campo delle libertà di iniziativa privata perché si dovrebbe imporre ad aziende come Facebook, Google etc. di complicare l'accesso ai loro servizi". Per Inguscio"ci deve essere un dialogo tra le istituzioni e questo tipo di soggetti". "L'identificazione faciliterebbe la responsabilizzazione delle persone sulla rete, virtuale e reale, ma graverebbe sull'accesso a certi tipo di servizi e sulla loro fruizione. Bisogna trovare una via di mezzo", conclude .

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