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Professioni: Plinio Perilli, il critico letterario in Italia si è perso negli anni '60

26 aprile 2017 | 12.07
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Plinio Perilli
Plinio Perilli

"Il critico letterario puro, ammesso che mai sia esistito, si è perso in Italia forse col pieno boom degli anni '60 (qualche nome in ordine sparso, di diversa indole e anche visione del mondo: Emilio Cecchi, Carlo Bo, Geno Pampaloni, Giacinto Spagnoletti, Pietro Citati). Con il dispiegarsi degli anni '60, il rapporto tra letteratura e industria è diventato imperante, inscindibile". Così in un'intervista a Labitalia, Plinio Perilli, poeta e critico letterario italiano.

"Oggi -spiega- insomma, il Premio Strega lo decidono i grandi editori, i manager dell'intelletto, gli uffici stampa altolocati, non certo i critici di buona volontà, o lettori privilegiati. Non conta lo scrittore di razza (una volta vinceva Landolfi, La Capria, Piovene, Dessì), ma il target di pubblico in cui può identificarsi e viceversa. E' un mero problema commerciale. Va bene anche così. I grandi libri restano a dispetto d'ogni strategia editoriale. Il marketing passa e l'arte resta. Ma l'arte non ce la fa, se resta o viaggia in perdita.

"Il poeta -ammette- è molto più d'un mestiere, è forse un sentimento, uno sguardo, un modo di essere. Ma non va vissuto con posa, con prosopopea. Altrimenti il guizzo lirico è sciupato, perduta quella semplicità emotiva che ti rende poeta anche a nome di chi non lo è, la poesia la vive dentro, ma non sa scriverla, portarla, snudarla sulla pagina. 'M'illumino d'immenso' è grazia, non una boutade: figurarsi 'Ed è subito sera'".

"Anche il critico letterario -sostiene- andrebbe fatto con immensa sincerità, e anche passione allegria, una letizia perfino divulgativa. Nessuna torre d'avorio, nessun ridicolo scettro di sapienza. Mi ricordo certi cari professori del liceo, i migliori, quelli che ci innamoravano alla loro materia. Difficile capire quando comincia un percorso creativo, e soprattutto cosa davvero lo decida, al di là del talento, cioè di una indubbia predisposizione. Parlare di destino sembra eccessivo però a volte è l'unica connotazione che si avvicini".

"Difficile capire -ricorda- quando comincia un percorso creativo, e soprattutto cosa davvero lo decida, al di là del talento, cioè di una indubbia predisposizione. Parlare di destino sembra eccessivo però a volte è l'unica connotazione che si avvicini. Mio padre cineasta, anche noto (lo sceneggiatore di Riso amaro, di Guerra e Pace, di Mambo e de La diga sul Pacifico ndr), amico di artisti, poeti che mi mette in mano le poesie di Ungaretti (eccetera) quando avevo meno di dieci anni. O mi parla di Moravia, di Flaiano, Pasolini".

"E più o meno nello stesso fertile limbo -chiarisce- tra infanzia e pre-adolescenza, mi spiega i pettini di Capogrossi e i voli di Chagall, i colli lunghi di Modigliani e i neri di Burri. Ma anche le epopee di Eisenstein e i classici americani: Ivan il Terribile e Ombre rosse, l'Aleksandr Nevsky e Fronte del porto... Ovviamente Paisà e Ladri di biciclette, La strada e Gli uomini che mascalzoni, dei suoi amici Rossellini e De Sica, Fellini e Camerini".

Ma l'arte creativa di Perilli non si ferma. "Oggi -dice Plinio Perilli- presento un romanzo dialogico, intrigante, di Marco Tullio Barboni: un serrato confronto tra l'io e il proprio inconscio che a tratti lambisce, guada, attraversa avventure mentali o concrete di tutti. Domani, in un convegno, ricorderò la sconfitta di Caporetto, esattamente un secolo fa, il diario di prigionia del Ten. Gadda, giovane e impettito tra mille nazionalismi frantumati, che stava forse maturando 'dentro' le sue future, grandi prove romanzesche: il Pasticciaccio, La cognizione del dolore".

A fine maggio poi, a Bologna, "grande appuntamento con un ricordo della 'Beat generation', che ci chiama tutti a confessare il nostro amore per Kerouac, Ginsberg, Gregory Corso & soci. Scrittori liberi e libertari, che ebbero bisogno di riavviare la fantasia romanzesca tornando sulla strada, e, la poesia, di affidarla piuttosto a un urlo, che a una nenia intellettualoide o formalistica in vena di retorica, e metafore fiorite ma plasticate, come i fiori orribili che mai consideriamo un evento profumato e policromo della dea natura".

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