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Rete: quattro lettere, una sola grande rivoluzione

23 ottobre 2019 | 10.43
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(Foto Fotogramma)
(Foto Fotogramma)

Siamo intrappolati nella rete. Siamo immersi in un vortice di connessioni che, secondo quanto affermato da Fabrizio Martire, Professore associato di sociologia generale presso il Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale, Sapienza - Università di Roma ed esperto di reti sociali, sono in grado di regolare il sistema delle relazioni. In occasione dei 50 anni dalla prima trasmissione di dati ArpaNet (Advanced Research Projects Agency NETwork), abbiamo intervistato l’esperto per conoscere e capire le trasformazioni che il web ha portato con se e come questo abbia influenzato la vita di tutti i giorni.

1. Come saprà, il 29 ottobre ricorre il World Internet Day, in cui si celebrerà mezzo secolo dalla prima trasmissione di dati, avvenuta dai computer dell’università della California verso i dispositivi dello Stanford Reaserch Institute. Quali sono, secondo lei, le tappe fondamentali che hanno portato al processo della digitalizzazione, che attualmente è protagonista indiscussa dello scenario socio-comunicativo? – Come è cambiato il nostro mondo?

“Beh le ‘tappe fondamentali’…più che tappe mi vengono in mente dei processi fondamentali, che hanno anche a che fare con aspetti tecnologici. Ma in termini di effetti mi vengono in mente tutti i processi che hanno in qualche modo trasformato internet, per citare il web, da qualcosa di ‘speciale’ a qualcosa di ‘normale’ e sono davvero molti. Sicuramente ci sono quelli tecnologici, poi la diffusione delle infrastrutture, delle reti, dell’autostrade, dei canali che permettono gli accessi: ora la banda larga, ma quando ero più giovane c’era solo il telefono, e già quella era una grande forma d’accesso. Ma la tecnologia da sola non sarebbe sufficiente per ‘trasformare’ internet in una cosa normale. L’altro pezzo di processo è l’alfabetizzazione e la familiarità, quindi in qualche modo, l’acquisizione di naturalezza nelle vite di tutti i noi. Il problema è che come in tutti gli altri processi, noi siamo portati ad essere un po’ egocentrici o miopi e magari a generalizzare qualcosa che per noi sembra ormai acquisito e dato per scontato, come lo è per tutti. Quindi non possiamo nemmeno parlare di processi conclusi. Sono processi che riguardano diversi aspetti. La parte di lavoro più complicata non è la tecnologia, è un’altra, che ha strumenti forse meno efficaci o potrebbe avere esisti più incerti: la trasformazione in una abitudine”.

2. La trasmissione del primo pacchetto di informazioni via internet è stata senza ombra di dubbio alcuna, un evento che ha segnato la storia; altrettanto fondamentale è stato poi l’avvento del web 2.0 il quale ha apportato notevoli sviluppi sul piano comunicativo. Secondo lei quali potrebbero essere, invece, gli aspetti negativi che influenzano di gran lunga la società in cui viviamo?

“Ci sono degli aspetti negativi, ma da questo a dire che la causa è il web è un po’ forte come discorso. Questo sembra un approccio deterministico alla scuola di Francoforte in cui i cambiamenti tecnologici hanno delle conseguenze dirette sui comportamenti umani, sulle dinamiche sociali, sul modo in cui stiamo insieme. Non ne sono convinto. Certo, alcuni cambiamenti ci sono stati, ma questo non vuol dire che alcune ‘patologie’ che si vedono, non abbiano strumenti di difesa. Gli strumenti di difesa sono sempre gli stessi; questa domanda mi fa venire in mente quelle parole sulle bocche di tutti ad esempio le ‘fake news’…però da questo a trattare il web 2.0 come la causa, come il fattore determinante è davvero troppo. Ci sono, ad ogni modo, degli ‘antidoti’ a queste problematiche. Antidoti anche abbastanza banali, la capacità di autodeterminazione, la capacità di far proprie delle informazioni, di ragionarci sopra, ma questa non è tecnologia, è formazione, preparazione. ‘Un grande assente’ è sempre presente. C’è sempre chi ha la responsabilità in tutto questo. Questo è il vero aspetto su cui lavorare e magari già per questo i problemi non ci sarebbero più”.

3. Con il termine “rete”, è immediato pensare ad internet e alle interconnessioni tra dispositivi digitali. In realtà ha un significato molto più ampio e oggi in particolar modo, viene utilizzato come paradigma per studiare la società. Può spiegarci in che modo?

“In realtà la metafora della rete utilizzata per studiare la società esiste da molto prima della nascita di internet. Hanno iniziato gli antropologi; per esempio la ‘social network analysis’ esiste da molto tempo e non è, come molti pensano, ‘l’analisi dei social network’. E’ l’analisi delle reti sociali. Magari i millennials, nati sotto la magia delle nuove tecnologie, pensano che sia un prodotto successivo ad internet, tutto il contrario: sono alcuni aspetti del web a riprodurre alcuni aspetti della ‘rete sociale’ ad esempio l’importanza dei processi orizzontali. Il web ne è una concretizzazione”.

4. Tra le varie indagini condotte dall’Istat, IARD in passato e dagli istituti statistici americani emergono interessanti risultati che riguardano, in un’altra prospettiva, anche il legame tra reti e famiglie e reti e amici; come sono mutati i rapporti tra questi nel corso del tempo? –La rete ha influenzato i rapporti sociali?

“Si, assolutamente. Mi vengono in mente le dinamiche familiari: una generazione è completamente immersa nel mondo online, l’altra un po’ meno. Il tema del controllo ad esempio è notevolmente cambiato: attualmente ci sono modalità di controllo molto invasive, che prima non erano possibili, o almeno non erano possibili in forme estreme. Oggi il controllo non è più limitazione. Apparentemente potrebbe sembrare più aperto ma in sostanza non lo è. Per alcune forme di controllo, rischia di passare il messaggio della non fiducia, della mancata responsabilità. Esistono applicazioni di spionaggio, che possono essere installate sugli smartphone dei nostri figli, ma così li abitueremo al fatto che c’è qualcuno che sa cosa sta succedendo al loro dispositivo e sarà quello stesso a risolvergli il problema; potrebbero pensare che non sono loro a dover risolvere il problema. Poi, quanto è importante il concetto di distanza? E Il silenzio? Noi lo abbiamo completamente eliminato dalla nostra vita. Probabilmente quando esisteva, forse assolveva anche a qualche funzione. Non c’è più il non sentirsi. Tempo fa mi capitava di andare in vacanza per molto tempo: usavo chiamare mia madre solo una volta a settimana. Mia madre non sapeva nulla di me e non era un problema. Adesso questa cosa, anche a me, sembra impensabile. Bisogna riflettere: questo silenzio era l’assenza di qualcosa o presenza di qualcos’altro che non esiste più?

5. Tim Berners Lee, padre del software base del nostro attuale World Wide Web, affermerebbe in una intervista recente che internet “ha fatto una brutta fine”. E’ d’accordo con questo pensiero? - Quali sono secondo lei le previsioni per il futuro? – Cosa ci aspetta?

No, non sono d’accordo. È sempre lo stesso discorso. In questo si potrebbe esagerare, è un discorso miope. Ecco lui è il fondatore, ha visto e sentito prima di tutti le evoluzioni in questo campo. È vero che ci ha cambiato la vita, ma sono meccanismi che succedono. Io non la vedo una cesura. Quindi dire che ‘internet ha fatto una brutta fine’ mi sembra un po’ prospettico. Magari tra qualche anno si riuscirà a vedere la continuità: quello che c’è prima di internet e quello che c’è dopo internet. Per quanto riguarda il futuro, la fantascienza se ne è occupata da tanto tempo; tanti romanzi che sono stati scritti di cui una bellissima antologia dal titolo ‘le meraviglie del possibile’, tra milioni di cose che si immaginava sarebbero accadute nel futuro, una cosa come internet non se l’era immaginata nessuno! Si parlava di teletrasporto, di dematerializzazione, ma ad internet non ci aveva pensato nessuno. Come vedo il mondo fra 50 anni? mah, a questo non saprei rispondere, un po’ di pessimismo c’è, ma non posso dire altro. Anche il tema delle intelligenze artificiali sicuramente passerà da essere ‘speciale’ ad essere ‘normale’ secondo me; un conto è parlare di dispositivi a cui ordini di spegnere la luce, un altro è essere sostituiti nel vero senso del termine da dispositivi che prendono decisioni al nostro posto, come un ‘robot avvocato’. Mi piace fare un esempio ai miei studenti per far capire loro che ci sarà sempre un limite: provate a pensare ad un robot che va in bicicletta; non è per niente facile. Noi umani possiamo farlo gestendo l’equilibrio, i robot per farlo dovrebbero essere su un altro livello. Ci sarà sempre una soglia che non verrà oltrepassata”.

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