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Smartworking: aldilà dell'emergenza qualcosa è cambiato

09 settembre 2021 | 07.01
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Per il ministro Brunetta non “può essere il lavoro del futuro” ma diritti, nuove tecnologie sempre più centrate su cloud e multicloud, tempi e modalità segnano la strada per il lavoro ibrido.

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Durante il question time alla Camera di ieri il ministro della Pubblica Amministrazione Brunetta si è espresso in modo tranciante sullo smartworking: “Il lavoro agile può servire nell'emergenza ma non può essere il lavoro del futuro, proiettarlo nel futuro mi sembra un abbaglio”. E ha proseguito: “Oggi chi fa lavoro agile non ha un contratto specifico, non ha obiettivi, non ha tecnologie, in più non c'è sicurezza, vedi il caso del Lazio, insomma è un lavoro a domicilio all'Italiana”.

Adeguare tecnologie, diritti e modalità dello smartworking, soprattutto in Italia, è un discorso ancora pienamente da sviluppare ma considerarlo come un'espressione soltanto dall'emergenza del momento e senza futuro non corrisponde all'avanzamento del fenomeno in tutto l'Occidente. Già il ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale Colao ha recentemente espresso un'opinione estremamente positiva verso il futuro del lavoro ibrido. “Andiamo incontro a un modello di lavoro misto, senza l’angoscia di andare al lavoro prestissimo o di non riuscire a gestire la famiglia” ha detto “però non dobbiamo dimenticare il bisogno e l’importanza della socialità e del mentoring nei confronti dei giovani”. Nei suoi progetti, ha più volte dichiarato l'esigenza di stimolare imprese e università per trovare soluzioni efficienti e praticabili arrivando a un mix tra lavoro in presenza e smart, che tenga conto delle esigenze lavorative, di quelle sociali e personali, ma anche della carbon footprint del lavoro. Si stima che solo in Italia, se la metà dei dipendenti pubblici e privati che svolgono lavoro d’ufficio lo facessero stabilmente da casa (anche a turno), si risparmierebbero ogni anno 330mila tonnellate di CO2.

Nel mondo, soprattutto nelle aziende del settore tecnologico ma non solo, trovare nuovi assunti ora significa competere con aziende che offrono aumenti di stipendio e nessun obbligo di trasferirsi. Il mercato del lavoro tecnologico non è mai stato così distribuito geograficamente come oggi e costringe le aziende locali ad aumentare i salari per stare al passo con le offerte che arrivano dai grandi centri. Tutto questo sembra agevolare sia i lavoratori stessi che possono risparmiare sui costi della vita rispetto alle grandi città, sia le aziende che possono pagare meno, come ha cominciato a fare anche Google, chi decide di operare in smartworking in località più piccole e distanti. Secondo l’ultimo studio Cadremploi, sito di reclutamento francese rivolto ai dirigenti, che ha sondato le aspettative dei manager sul lavoro post pandemico, il 77% è soddisfatto di come l’emergenza sanitaria è stata gestita dalla propria azienda, ma questo non impedisce alla metà di loro di desiderare un cambiamento, intravisto anche grazie alle nuove modalità lavorative. Le persone stanno meditando un cambiamento drastico, che può contemplare sia un diverso impiego sia, più semplicemente, lasciare le grandi città per continuare a lavorare, magari da remoto, da luoghi in cui il costo e la qualità della vita sono più a misura d’uomo. La meno amata è proprio Parigi, sogno dei turisti ma incubo dei cittadini. Costi della vita altissimi, ritmi stressanti, ore sui mezzi pubblici, rumore e inquinamento: in tanti guardano a città tradizionalmente considerate minori come Bordeaux, Nantes e Lione. E molti sono disposti anche a vedersi abbassare lo stipendio o accettare mansioni diverse per poter lasciare la capitale.

La tecnologia punta direttamente a un passaggio successivo: “Non parliamo di essere presenti su internet, ma di essere presenti di persona in spazi digitali” ha spiegato Mark Zuckerberg, ipotizzando un mondo decentrato in cui le distanze fisiche vengono annullate, sia nel lavoro che nell’istruzione e nello svago, ma senza la freddezza dell’esperienza attraverso uno schermo. I ricavi per Facebook, ha spiegato Zuckerberg agli analisti, non verranno dall’hardware. “Il nostro business model non deriverà dalla vendita di device a prezzi premium, il nostro obbiettivo è piuttosto quello di raggiungere più persone possibile”. Un po’ come accade già in videogiochi come Minecraft e Fortnite, ma con un plus: “Molto dell’esperienza del metaverso” ha spiegato Zuckerberg “deriva dalla possibilità di portare con sé i propri beni e acquisti da un’esperienza all’altra” e ha aggiunto “Sarà la cosa più vicina al teletrasporto che potremo sperimentare”.

Perfino le attività sportive come la palestra si stanno muovendo in questa direzione. Alternando abbonamenti a sedute tramite zoom che con meno di venti euro al mese consentono di collegare un numero di persone molto maggiore rispetto alla capienza di una sala. Sono in molti, infatti, ad offrire in parallelo la lezione online e quella in sede. I trainer si sono dovuti adattare, imparando a gestire collegamenti e inquadrature, e a interagire con gli allievi sia in presenza che attraverso uno schermo, motivandoli durante l’allentamento e correggendo i movimenti in tempo reale. Costruendo, in sostanza, un modello di vita ibrida che difficilmente potrà essere esclusa dal futuro.

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