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Visco, con Qe Bankitalia acquisterà titoli per 130 mld, crescita Italia +0,5% nel 2015

07 febbraio 2015 | 13.39
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Il Quantitative Easing che la Bce e le singole banche centrali dell'Eurozona avvieranno il mese prossimo porterà benefici immediati alla crescita economica dell'Italia, con una previsione del Pil nel 2015 superiore al +0,5% e a +1,5% nel 2016. La Banca d'Italia farà la sua parte acquistando titoli di Stato per circa "130 mld di euro" nei 18 mesi del piano

Il governatore di Banca d'Italia Ignazio Visco (Infophoto)
Il governatore di Banca d'Italia Ignazio Visco (Infophoto)

Il Quantitative Easing che la Bce e le singole banche centrali dell'Eurozona avvieranno il mese prossimo porterà benefici immediati alla crescita economica dell'Italia, con una previsione del Pil nel 2015 superiore al +0,5% e a +1,5% nel 2016, grazie anche al deprezzamento dell'euro nel cambio con il dollaro. La Banca d'Italia farà la sua parte, come le altre banche centrali, acquistando titoli di Stato italiani per circa "130 mld di euro" nei 18 mesi del piano. Ma il Qe non renderà "meno necessarie, né meno probabili" le riforme per "aumentare il potenziale di crescita dei Paesi dell'area". Al contrario, "le può favorire, con il miglioramento e la minore incertezza delle prospettive macroeconomiche".

Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco dà la linea agli operatori riuniti al Mico di Milano per il congresso Assiom-Forex, davanti ad una platea affollata di banchieri. Tra i tanti, nelle prime file siedono i presidenti di Intesa SanPaolo Giovanni Bazoli e Gian Maria Gros-Pietro e l'amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni, al fianco del direttore generale Roberto Nicastro.

E poi l'ad di Banca Mps Fabrizio Viola, alle prese con la vigilanza della Bce ("Non posso parlare" dell'aumento di capitale, si schermisce), il numero uno del Banco Popolare Pier Francesco Saviotti, l'ad di Bpm Giuseppe Castagna, il presidente di Bnl-Bnp Paribas Luigi Abete e il presidente dell'Abi Antonio Patuelli. C'è anche il direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale Carlo Cottarelli, che da quando ha lasciato palazzo Chigi è più comunicativo, fino a spingersi a fare battute sul look del ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis ("Era molto elegante" quando l'ho incontrato a Roma, osserva).

Visco ha fatto un discorso di media lunghezza, dodici pagine in tutto, in gran parte dedicato a temi macroeconomici e di politica monetaria. Il Qe che la Bce si è decisa a lanciare, vincendo le resistenze germaniche, a più di sei anni dal primo allentamento quantitativo della Federal Reserve, occupa inevitabilmente il centro della scena. Il Qe, osserva il governatore, "è una misura di grande portata", caratterizzata "per la sua ampiezza, superiore alle attese dei mercati" e per "l'assenza di un limite temporale rigidamente predefinito". Cioè, come si dice in gergo, è open-ended e per questo piace ai mercati: se non basta, non finisce.

Certo, resta il fatto che, per la maggior parte, gli acquisti saranno in carico alle singole banche centrali: "Una piena condivisione dei rischi - sottolinea il governatore - sarebbe stata più coerente con l'unicità della politica monetaria". Molti osservatori hanno notato che, in questo modo, l'Ue continua a dare segnali centrifughi: "La decisione di lasciare in capo ai bilanci delle singole banche centrali nazionali i rischi connessi con eventuali perdite sui titoli di Stato da esse acquistati - spiega Visco - tiene conto della preoccupazione, presente all'interno del Consiglio direttivo, che nell'attuale assetto istituzionale dell'area questa azione di politica monetaria possa determinare trasferimenti di risorse tra Paesi non deliberati da organi a ciò legittimati".

Tradotto, ha pesato la paura della Germania e dei Paesi a lei vicini di dover pagare i debiti dei Paesi mediterranei. Altro timore tedesco, il Qe potrebbe produrre inflazione: "Il rischio che l'intervento possa determinare aumenti eccessivi dei prezzi delle attività reali e finanziarie tali da minacciare la stabilità finanziaria è, nelle attuali condizioni, limitato", osserva Visco. E, anche "laddove dovessero manifestarsi tensioni" a livello locale, le autorità dovrebbero contrastarle "con misure mirate di carattere macro-prudenziale, senza rinunciare all'orientamento espansivo della politica monetaria".

Tuttavia, osserva il banchiere centrale, "da soli gli stimoli di natura monetaria non bastano a consolidare e rafforzare i segnali di ripresa". Servono le riforme, certo, ma ora che "le correzioni di bilancio introdotte in alcuni Paesi hanno sostenuto la fiducia tra gli Stati membri e rassicurato i mercati", finalmente "c'è spazio per un sostegno alla domanda". E il piano della Commissione Juncker, quello dei 300 mld di euro di investimenti, "è il primo tentativo di organizzare una risposta coordinata a livello europeo".

E "un altro segnale importante", continua Visco, è "la recente comunicazione della Commissione sulla flessibilità delle regole di bilancio". In pratica, in Europa il clima sta cambiando, alla luce della constatazione dell'inefficacia, ai fini della crescita, dell'austerità espansiva. Ma questa non è una buona ragione per dormire sugli allori in Italia: "Il programma di riforme strutturali intrapreso negli ultimi anni deve procedere, soprattutto nell'attuazione di quanto deciso". E le misure introdotte sinora "vanno nella giusta direzione", incluso il Jobs Act del governo Renzi.

Certo, in Italia non mancano i punti dolenti. Per esempio, "la dotazione di capitale umano in Italia è bassa nel confronto internazionale" e "l'intrusione della corruzione e della criminalità organizzata nel tessuto economico e sociale rimane su livelli intollerabili". Per tornare a crescere, all'Italia servono anche banche pronte a concedere credito, ma "le sofferenze sul complesso dei prestiti alla clientela alla fine di settembre aveva raggiunto il 10,6% per i principali gruppi bancari". E "lo smobilizzo dei crediti deteriorati è cruciale per consentire alle banche di reperire risorse da destinare al finanziamento dell'economia reale".

Tradotto in volgare, serve una bad bank, anche se, come sottolinea Patuelli, "il governatore non ha mai usato quella parola", che sgravi i bilanci delle banche dai crediti inesigibili, eredità della crisi economica che attanaglia l'economia italiana ormai da anni. Una soluzione già percorsa da altri Paesi come la Spagna, dove la Sareb (Sociedad de Gestiòn de Activos Procedentes de la Reestructuraciòn Bancaria) sta dando buoni frutti.

Certo, servirebbe la mano pubblica: "Un intervento diretto dello Stato - dice Visco - nell'ambito di uno schema che, nel pieno rispetto della disciplina europea sulla concorrenza, preveda il pieno coinvolgimento delle banche nei costi dell'operazione e un'adeguata remunerazione del sostegno pubblico, potrebbe avere luogo non per rimediare all'assunzione di rischi eccessivi da parte delle singole banche, ma per far fronte al deterioramento dei crediti indotto dalla gravità e dalla lunghezza della recessione, nonché all'esigenza di assicurare adeguati flussi di finanziamento all'economia".

Insomma, per dirla con Patuelli, le banche "non vogliono regali dallo Stato". Dopo le parole del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ieri ("Ci stiamo lavorando") e quelle di Visco oggi, i big del credito italiano si sono sbilanciati: per Bazoli "è indispensabile studiare" l'ipotesi, mentre Ghizzoni la "vede positivamente". Ora, conclude Gros-Pietro, "se ci sarà un intervento pubblico" nella creazione di una bad bank, "noi daremo volentieri il nostro contributo", anche se Intesa SanPaolo "ha già pensato a provvedere" al problema internamente, trattando ogni fattispecie di Npl (non performing loan) nel modo appropriato.

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