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Concordia: rimuovere strutture recupero relitto, la scienza dice no

18 novembre 2014 | 16.29
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Si temono ulteriori danni ambientali da un nuovo intervento e 'i soldi possono essere spesi meglio'. Il 25 novembre un incontro a Genova sul tema.

(Infophoto)
(Infophoto)

Smantellare le strutture d'acciaio subacquee realizzate per il recupero della Costa Concordia: c'è chi dice sì e chi dice che tutto sommato, invece, potrebbero restare lì, risparmiando soldi e un ulteriore impatto sull'ambiente marino. Nella vicenda, da una parte c'è il ministero dell'Ambiente per il quale il ripristino dei fondali è stata sin dall'inizio la condicio sine qua non posta al centro dell'accordo stipulato tra Costa Crociere, società assicuratrici, ministero e Conferenza dei Servizi Stato Regione; dall'altra c'è il Comune del Giglio che oggi si interroga sull'opportunità dell'intervento e chiede un parere scientifico.

"Sin dall'inizio della vicenda il ministero ha chiarito che, a fine lavori, le iniziali condizioni ambientali dovevano essere ripristinate ma oggi queste enormi strutture in acciaio, che nel tempo si sono trasformate in una barriera artificiale, possono avere una valenza ambientale e turistica", spiega all'Adnkronos Riccardo Cattaneo-Vietti, professore ordinario di Ecologia all’Università Politecnica delle Marche che parteciperà all'incontro del 25 novembre, all'Acquario di Genova, promosso dall’Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee per avviare un confronto sul tema.

"Ormai il danno è stato fatto - aggiunge - e lasciare lì le strutture non dovrebbe causare ulteriori problemi. Basta pensare a quanti relitti ci sono in fondo al mare". Al contrario, però, un intervento di rimozione "potrebbe fare ulteriori danni". Morale della favola, "quei soldi potrebbero essere spesi meglio, pur sempre nell'ambito della tutela ambientale", aggiunge Cattaneo-Vietti.

Biologi marini ed esperti di scienze ambientali e di subacquea si riuniranno all’Acquario di Genova per valutare, da un punto di vista scientifico e tecnico, la richiesta del Comune del Giglio di non smantellare le strutture d'acciaio subacquee realizzate per il recupero della Costa Concordia. L’iniziativa è promossa dall’Accademia Internazionale di Scienze e Tecniche Subacquee, organizzazione no profit riconosciuta dall'Unesco e parte dell’Advisory Board del Research Project Cognitive Robots for Cooperation with Divers in Marine Environments, finanziato dalla Commissione Ue.

L'Accademia si è attivata per aiutare il Comune del Giglio a mantenere le piattaforme che ormai sono diventate delle barriere sommerse, strutture che in determinate condizioni ambientali favoriscono la nascita di un habitat nel quale molte specie trovano riparo e protezione. Un vantaggio sia sotto il profilo biologico (diventano spesso zone di produzione e di concentrazione di specie anche d’interesse commerciale) che ludico, poiché una barriera diventa un luogo d’immersioni subacquee.

Secondo gli scienziati, la proposta di smantellare tutto e di riportare il fondale alle origini, una volta rimossa la Concordia, fu fatta sull’onda dell’emergenza e "di un protocollo firmato in fretta e furia, non conoscendo assolutamente quali sarebbero stati i sistemi di recupero da utilizzare e le relative strutture da mettere a mare. A questo punto la decisione da prendere deve essere invece valutata con grande ponderazione", aggiunge il biologo marino Francesco Cinelli.

"L’ipotesi - aggiunge Cinelli - è quella non solo di togliere la gran quantità di materiali eterogenei di diversa natura abbandonati sul fondo, e su questo credo che tutti siano d’accordo, ma soprattutto di smantellare anche le piattaforme di acciaio che hanno sostenuto la Concordia fino al suo rigalleggiamento. Riteniamo che questa seconda operazione sia in grado di arrecare ulteriori danni ambientali invece di restituire il fondale nelle condizioni originarie come era stato ipotizzato al momento dell’incidente".

Situazioni analoghe al tema che sarà affrontato il 25 novembre, esistono in Adriatico, dove si trovano molte piattaforme petrolifere disattivate e che potrebbero essere sfruttate a fini ambientalistici e occupazionali. Persino davanti a Genova vi sono due strutture inattive delle quali almeno una potrebbe sicuramente rinascere con queste finalità. "E' la stessa posizione espressa dall'Iucn (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, ndr): conservare i relitti come eredità di una certa cultura umana, fosse anche come monumento alla stupidità, come in questo caso", conclude Riccardo Cattaneo-Vietti

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