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Vincenzo Scotti: "Su nave Vlora fiume inarrestabile di persone, inevitabile intervenire"

07 agosto 2021 | 14.00
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L'allora ministro dell'Interno: "Terribile fase della storia affrontata con spirito di coesione ammirevole tra Roma e Tirana"

(Fotogramma)
(Fotogramma)

"Le televisioni italiane mandavano in Albania immagini di una Italia ricca, alla vigilia di una stagione di vacanze che stimolava la fantasia di un Paese del benessere. Il Presidente del Consiglio convocò una riunione di Gabinetto coi ministri interessati per decidere cosa fare. Sia io che De Michelis avevamo parlato con il Presidente della Repubblica albanese, per cui, mettendo insieme tutte le notizie e i pareri, si arrivò alla conclusione che fosse indispensabile bloccare il flusso, riportare in patria tutti e accelerare i programmi di aiuti. Il ministero dell’Interno avrebbe da quel momento coordinato le iniziative del governo: rimpatrio, conclusione degli accordi, avvio rapido dell’operazione 'Pellicano' gestito, nell’immediato, dai militari italiani esperti nelle missioni di pace e, infine, l’attivazione della cooperazione allo sviluppo. Oggi possiamo dire che in quelle giornate, anche prima e soprattutto dopo, l’Italia e l’Albania hanno affrontato una terribile fase della storia con uno spirito di coesione ammirevole". E' il ricordo che Vincenzo Scotti, all'epoca ministro dell'Interno, affida all'Adnkronos a trentanni dallo sbarco della nave Vlora a Bari.

Scotti ripercorre le fasi che hanno portato a quell'evento: "Nel marzo del 1991, d’accordo con i Presidenti della Repubblica e del Consiglio, Francesco Cossiga e Giulio Andreotti, De Michelis e io, ministri degli Esteri e dell’Interno, facemmo due visite a Tirana per consolidare le relazioni diplomatiche, concordare un piano di aiuti e di cooperazione economica e sociale, di sostegno delle attività scolastiche e universitarie e sulla sicurezza. L’accordo che raggiungemmo fu quello di controllare e contenere l’emigrazione e mettere in campo subito un piano di sostegno alimentare e di altri beni di prima necessità oltre a un programma di cooperazione per l’insediamento di piccole e medie industrie italiane, di addestramento professionale e di formazione di quadri dirigenti".

Nonostante le intenzioni, però," la confusione politica cresceva e l’emigrazione sembrava ogni giorno di più l’unica strada percorribile. Crebbe anche in noi a Roma la paura che la situazione ci stesse sfuggendo di mano e che se non avessimo accelerato l’attuazione degli accordi, in Albania la situazione sarebbe stata ingovernabile".

Nei mesi che precedettero lo sbarco della nave Vlora, furono migliaia i migranti albanesi che approdarono sulle coste italiane. "Il 9 febbraio - racconta l'ex ministro Scotti - oltre 10 mila persone si ammassavano nel porto di Durazzo per emigrare in Italia. Nei giorni successivi centinaia di persone salivano su imbarcazione di fortuna con destinazione la costa pugliese. Da parte del Governo e della conferenza delle regioni si adottarono misure di emergenza (permessi di soggiorno straordinario per la durata di un anno), si redistribuirono gli emigranti su tutto il territorio nazionale. Molte navi furono bloccate all’imbocco del porto di Brindisi tra cui la Tirana con 3.500 persone e la Ljiria con 3.000 persone".

Il culmine di questo "fiume inarrestabile"si raggiunse l'8 agosto. "I servizi segreti informarono il nostro governo che stava per partire una nave con la presenza di migliaia di uomini, donne e bambini, con l’impotenza delle autorità albanesi a frenare e in qualche modo controllare i movimenti".

"Dichiarai - spiega Scotti - che potevo gestire il rimpatrio solo a condizione che si mettessero in azione tutte le altre azioni, gestite con estrema rapidità ed efficienza. Il rimpatrio doveva avvenire nel giro di pochissimi giorni e con il ricorso di un ponte aereo e navale, senza far disperdere gli albanesi sul territorio regionale e nazionale. Eravamo a Ferragosto, e se avessimo acconsentito a deroghe non saremmo stati più in grado di evitare che il flusso esplodesse con numeri inimmaginabili e alla fine tutto il progetto saltasse". Come spiega l'ex ministro, fu "questa la ragione della scelta di concentrare tutti gli albanesi in due punti controllabili (il piazzale del pontile del Porto) e requisire tutti i possibili mezzi di trasporto utili".

Scotti racconta il tentativo - fallito - di coinvolgere la comunità europea: "Insieme ai colleghi De Michelis e Boniver, riflettemmo sulla nostra strategia nei confronti dell’immigrazione andando oltre l’orizzonte albanese. Pur consapevoli che ad agosto a Bruxelles non sarebbe stato facile rintracciare molte persone, cercammo di metterci in contatto con le autorità della Comunità Europea per tentare di coinvolgerli in qualche modo sul come fronteggiare un fenomeno che non era un fatto contingente e straordinario ma con cui l’Europa si sarebbe dovuta misurare a lungo. All’incontro con i colleghi a Bonn mi sforzai di spiegare innanzitutto che quella albanese non era una questione italiana, e che occorreva definire una iniziativa europea. Su questo punto la risposta fu negativa. Non potevamo immagine che l’Europa ignorasse il tema e non pensasse di affrontarlo con le proprie politiche, proprio in una fase costituente e specie dopo la caduta del muro di Berlino. Purtroppo non una parola venne ascoltata. Gli ultimi trent’anni non hanno visto cambiare significativamente posizione europea anche di fronte alla tragedia dei morti nel mediterraneo e negli altri confini dell’Europa".

Scotti spiega infine che cosa, secondo lui, ci ha lasciato quell'evento e quali similitudini si possono riscontrare con il fenomeno migratorio di questi ultimi anni: "Quello che l’esperienza albanese ci insegna, guardando al cimitero del Mediterraneo e all’Africa, è che non è possibile sezionare le singole fasi: è importante comprendere innanzitutto il contesto economico, sociale e politico nel quale nascono i flussi migratori e le relazioni tra i singoli paesi dell’Europa e quelli dei Paesi dai quali oggi e domani esplodono ed esploderanno le bolle migratorie. Non sono emergenze ma fanno parte di mutamenti demografici, geopolitici, economici, climatici e devono essere affrontati con adeguate strategie politiche, economiche, sociali e culturali dell’Europa e dei paesi della grande area che va dai Balcani, al Mediterraneo allargato, all’Africa. La piccola vicenda albanese di trent’anni fa, va vista in questa ottica e capita nelle scelte che furono adottate nei suoi costi e nei suoi risultati. Le dimensioni dei problemi sono cambiate radicalmente come pure è mutato il contesto dei conflitti globali che si scaricano in questa grande area, ma le necessità di un approccio sistemico e cooperativo resta indispensabile".

(di Marcello Mamini)

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