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Cassazione: Dolce e Gabbana assolti, nessun vantaggio indebito

30 ottobre 2015 | 17.37
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Dolce e Gabbana (Infophoto) - INFOPHOTO
Dolce e Gabbana (Infophoto) - INFOPHOTO

La Cassazione, nello spiegare il perché - il 24 ottobre 2014 - ha assolto "perché il fatto non sussiste" gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana dall'accusa di aver evaso tasse su un giro di affari di 200 milioni di euro spostando fittiziamente all’estero nel 2004, in Lussemburgo, la sede della loro società, la Gado, sottolinea che "il vantaggio fiscale non è indebito solo perché l'imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale. Lo è se è ottenuto attraverso situazioni non aderenti alla realtà, di puro artificio che rendono conseguentemente 'indebito' il vantaggio fiscale".

Quanto al risarcimento del danno, la Suprema Corte è chiara: "Poiché il titolo della condanna al risarcimento del danno è inesistente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in ordine alle statuizioni civili". Dolce e Gabbana erano stati condannati a risarcire l'Agenzia delle Entrate con 500 mila euro, ma piazza Cavour sottolinea che "il danno individuato dai giudici di merito non può essere in alcun modo qualificato come 'danno non patrimoniale' e men che meno 'morale'".

Nelle motivazioni, piazza Cavour scrive che "l'esclusivo perseguimento di un risparmio fiscale (o, a maggior ragione, la presenza anche solo marginale di ragioni extra fiscali) se può valere a qualificare l'operazione come elusiva (e dunque a definire l'an e il quantum dell'imposta effettivamente dovuta e non dichiarata) non è di per sé sufficiente a dimostrare il dolo di evasione, soprattutto quando l'operazione economica sia reale ed effettiva". Analizzando quindi la natura del reato punito dall'art. 5 d. lgs. 74 del 2000, la Cassazione sottolinea che "trattandosi di reato omissivo proprio posto in essere da persona qualificata dall'obbligo di adempiere entro il termine previsto, le condotte precedenti la scadenza del termine sono estranee alla fattispecie tipica e non hanno rilevanza alcuna, nemmeno ai fini del tentativo punibile".

Ne consegue che "la volontà dell'omissione - spiega piazza Cavour - deve sussistere solo ed esclusivamente al momento della scadenza del termine. Le condotte antecedenti e successive possono rilevare esclusivamente ai fini della prova del dolo, non come frazioni dell'unica condotta omissiva". Di conseguenza, "non è possibile affermare il concorso nel reato omissivo proprio per avere posto in essere condotte antecedenti alla scadenza del termine che non avrebbero penale rilevanza nemmeno se poste in essere dall'autore principale del reato".

Quanto all'accusa di omessa dichiarazione, piazza Cavour evidenzia "l'errore di diritto nel quale sono incorsi i giudici di merito secondo i quali la 'esterovestizione' della società Gado coerentemente all'impostazione accusatoria deriva dal fatto che si tratta di società 'apparentemente localizzata nel Principato di Lussemburgo ma di fatto gestita da Milano'. 'Apparente localizzazione' e 'gestione di fatto' - fa notare la Suprema Corte - sono i termini di un'endiadi che ha logicamente condizionato la soluzione dell'intera vicenda, esaminata senza tenere in considerazione la concorrente e incontestata sussistenza delle robuste ragioni extra fiscali ispiratrici della riorganizzazione del gruppo 'Dolce e Gabbana' che scardinano la coerenza intrinseca del ragionamento accusatorio".

In questo modo, osserva la Cassazione, si è andati "verso approdi lontani sia dai principi di diritto sia dai temi di indagine, quasi del tutto inesplorati e per certi versi - quando lo sono stati - contraddittoriamente risolti, circa la realtà dell'insediamento lussemburghese, l'effettività dell'attività qui svolta, le ragioni stesse della scelta del Lussemburgo quale sede della nuova società". Con questa decisione, piazza Cavour aveva prosciolto da ogni responsabilità anche il commercialista milanese Luciano Patelli che aveva organizzato la ristrutturazione della griffe, e Cristina Ruella e Giuseppe Minoni, direttore generale e direttore finanziario della maison fondata da Dolce e Gabbana nel 1985. Per Alfonso Dolce, amministratore della maison e fratello di Domenico, i giudici della Terza sezione penale hanno chiesto un nuovo esame ma la prescrizione matura all’inizio di novembre e non ci sarà mai il tempo di celebrare un appello bis.

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