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Alcove nelle carceri, l'Algeria verso il via libera al sesso coniugale in cella

11 novembre 2014 | 13.25
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All'inizio del prossimo anno il parlamento di Algeri prenderà in esame la creazione nei penitenziari di aree 'riservate' in cui i prigionieri potranno intrattenersi alcune ore con i rispettivi partner

(Foto Infophoto) - INFOPHOTO
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Presto anche i detenuti algerini, al pari di quelli degli altri Paesi arabi, vedranno riconosciuti i loro 'diritti sessuali'. All'inizio del prossimo anno, infatti, il parlamento di Algeri prenderà in esame la creazione all'interno delle carceri di aree 'riservate' in cui i prigionieri potranno intrattenersi alcune ore con i rispettivi coniugi. Ne parla il quotidiano algerino 'Echorouk', che spiega come questa pratica sia già realtà nella maggior parte dei penitenziari arabi.

Il ruolo di avanguardia nel settore spetta all'Arabia Saudita, che già nel 1978 riconosceva e applicava quello che viene definito il diritto alla 'privacy legale' e nelle cui carceri esistono appositi spazi da destinare ad 'alcove' in cui i detenuti possono incontrare le proprie spose. Di recente, le autorità di Riad hanno deciso di mettere a disposizione delle coppie dei veri e propri appartamenti dotati di ogni comfort.

La pratica è diffusa anche in Kuwait, Yemen, Libia, Tunisia, Marocco, Qatar, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, mentre la Giordania ha espresso l'intenzione di introdurre le visite coniugali al più presto, si legge sul giornale, secondo cui "l'Algeria è l'unico Paese arabo in cui la 'privacy legale' nelle carceri è vietata".

Ma per gli attivisti per i diritti umani, così come per gli specialisti e i rappresentanti dei detenuti, la pressione vissuta dai prigionieri che si vedono negare una vita sessuale soddisfacente rischia di trasformarsi in una "bomba ad orologeria" e di sfociare in varie forme di "devianza morale" cui di fatto si assiste all'interno delle carceri, soprattutto tra i detenuti più giovani. Dal canto suo, l'attivista per i diritti umani Fatima Zohra Ben Barham ha ricordato che "la questione non è nuova, se ne parlava già negli anni Ottanta del secolo scorso", puntando il dito contro le autorità delle carceri che, a suo avviso, "ignorano i diritti umani dei detenuti, come il diritto di voto o quello ad avere una vita sessuale con i legittimi sposi".

Ma secondo Yousef Hantabli, docente di sociologia all'Università di Blida, "la sanzione non ha senso se si permette al detenuto di avere rapporti con la moglie". Per Hantabli, "la filosofia stessa della sanzione prevede che chi commette un reato debba essere punito o con l'allontanamento dal gruppo, come accadeva nelle società tradizionali, o con il carcere, come previsto oggi". Di conseguenza, "se al detenuto vengono riconosciuti alcuni privilegi, come quello della 'privacy legale', allora significa che non vi è stato allontanamento dalla società e la pena non ha alcun senso", conclude.

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