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Oltre 117mila gli ettari inquinati nella Valle del Sacco, lo denuncia Legambiente Lazio

28 febbraio 2014 | 16.57
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Oltre 117mila gli ettari inquinati nella Valle del Sacco, lo denuncia Legambiente Lazio

Sono oltre 117mila gli ettari inquinati della Valle del Sacco. Un perimetro che riguarda i territori dei comuni di Colleferro, Segni, Gavignano (nella provincia di Roma), Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino (nella provincia di Frosinone). L'emergenza ambientale e sanitaria è scoppiata ufficialmente nel 2005 con la presenza degli isomeri di esaclorocicloesano (β-HCH) rilevata nel latte dagli allevatori della zona. E dopo 9 anni “siamo ancora in una situazione di emergenza” spiega all'Adnkronos il presidente di Legambiente Lazio, Lorenzo Parlati.

Da quando è stato lanciato l'allarme, Parlati spiega che “è stato fatto un primo intervento per evitare che il materiale, il betaesaclorocicloesano continuasse ad andare in giro lungo la valle. E' stata quindi avviata un prima fase della bonifica a Colleferro”. La seconda fase portata a termine riguarda “la caratterizzazione dell'intera asta fluviale fino a Frosinone, che significa aver preso campioni e capito quanto quella molecola si sia diffusa e parliamo di 117mila ettari inquinati”.

Un problema legato non solo all'ambiente ma anche alla salute. Questo inquinante, spiega Parlati, “è un sottoprodotto della produzione di pesticidi di molti anni fa, che è stato poi sepolto”. Una vicenda ancora da verificare e sulla quale “sta lavorando il Tribunale di Velletri”. La molecola incriminata “è passata nei campi. Gli animali quindi l'hanno mangiata, è arrivata nel latte e si è fatta tutta la catena alimentare fino ad arrivare all'uomo”.

Parlati, infatti, riferisce che “ci sono centinaia di persone in quell'area che hanno questa molecola nel corpo e sono monitorati costantemente perché non si sa quale sia l'effetto sulla salute ma sicuramente non positivo visto che si tratta di un sottoprodotto di un pesticida”. Verificata la gravità della situazione, dunque, il problema resta e “non si può fare sostanzialmente niente per appianarlo”.

La molecola, ribadisce Parlati, “si è diffusa per 117mila ettari ed è quindi praticamente ovunque”. L'unico intervento che si è potuto fare “è stato verificare il punto da dove è partito l'inquinamento e circoscriverlo per evitare che si continui a inquinare”. Ma per bonificare l'intera area, “l'intervento è difficilissimo perché va tolto uno strato di terra significativo e per centinaia di metri lungo km di asta fluviale per disinquinarlo”.

I primi interventi, sottolinea Parlati, “sono già costati decine di milioni di euro e ora si sta cercando di fare una stima complessiva ma non so se si arriverà mai a farla soprattutto perché nel frattempo quel sito così complicato non è più sito di interesse nazionale di bonifica”. Nonostante la sua estensione e la pericolosità per l'ambiente e la salute, l'area della Valle del Sacco, “recentemente è stata declassata a sito di interesse regionale e questo significa ridurre i fondi degli interventi”.

Per questo, Legambiente “ha fatto ricorso al tribunale amministrativo per chiedere che quel sito rimanga nazionale”. La motivazione del declassamento è puramente formale secondo cui quel sito non richiede l'attenzione nazionale e "noi siamo in totale disaccordo.

Aspettiamo l'udienza del Tar che dovrebbe essere fissata a breve e nel frattempo va avanti il processo sul disastro ambientale presso il tribunale di Velletri, dove in questi giorni ci sono state le ultime udienze con un rinvio a breve per cercare di chiudere la fase delle indagini preliminari e avviare così il vero rito processuale".

L'obiettivo, spiega Parlati, "è arrivare almeno alla sentenza di primo grado prima che i 5 anni dall'inizio del procedimento scadano e quindi si prescriva tutto. L'altro rischio infatti è che oltre al danno ci sia anche la beffa e che nessuno sia condannato e costretto a ripagare il danno procurato".

Oggi l'azienda che ha provocato il danno "non esiste più: era la Bpd che è stata poi acquistata dalla Caffaro molti anni fa che in modo intelligente aveva già denunciato la situazione nei primi rapporti ambientali".

La risposta dalle istituzioni però "non è mai arrivata. Si è perso tempo. Ho letto rapporti del '99, e quindi sei-sette anni prima dell'emergenza vera e propria, nei quali la Asl già diceva che l'are area inquinata e che c'era un pericolo per la salute". Insomma "le varie responsabilità sono ancora da verificare".

La responsabilità, anche economica della bonifica, dunque, non è stata ancora accertata: "oggi questi soldi sono a carico dello Stato e per questo vogliamo che il processo si chiuda. Avere una sentenza di primo grado certa della condanna ci aiuterebbe ad avere i soldi della bonifica" conclude il presidente di Legambiente.

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