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Aumento cereali, su 'La Ragione' l'analisi quantitativa

06 aprile 2022 | 13.01
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Nel mese di marzo il mais ha raggiunto un costo maggiorato del 61,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il valore dell’orzo è cresciuto del 75,7% mentre quello del frumento tenero ha avuto un incremento del 76,4%. Il rincaro più evidente è quello del frumento duro: +81,8% rispetto a marzo 2021.

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Oggi la consueta rubrica settimanale del quotidiano d’opinione La Ragione - leAli alla libertà a cura del Professor Luca Ricolfi e Fondazione Hume dedicata all’analisi quantitativa di tematiche di attualità parla di auemento di prezzi. Per i consumatori il 2022 è cominciato male: tra l’aumento dei prezzi dell’energia, quello del gas naturale e quello della benzina sembra che le famiglie italiane si troveranno ad affrontare una spesa considerevolmente superiore rispetto all’anno precedente. Al coro dei rincari si è recentemente aggiunta la voce “Cereali e derivati”. Infatti, il prezzo di questi beni è significativamente lievitato. Nel mese di marzo il mais ha raggiunto un costo maggiorato del 61,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il valore dell’orzo è cresciuto del 75,7% mentre quello del frumento tenero ha avuto un incremento del 76,4%. Il rincaro più evidente è quello del frumento duro: +81,8% rispetto a marzo 2021.

Le ragioni di questi vertiginosi rincari sono state spesso attribuite alla guerra in corso tra Ucraina e Russia. Infatti, secondo i dati dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentale (Ismea), circa un quarto dei cereali importati nel mondo proviene da queste due nazioni. I due Paesi producono il 31% del frumento tenero, il 17% del mais e il 26% dell’orzo importati. Tuttavia, il conflitto in corso non sembra essere direttamente correlato con tali rincari. Infatti, a differenza di quanto accade con il gas naturale, l’Italia non figura tra i Paesi più dipendenti dal grano di Kyiv e Mosca, avendo nel Canada il partner commerciale più importante.

Gli effetti della guerra colpiscono il nostro mercato in modo indiretto: a causa dei porti chiusi e dei campi in fiamme, il flusso di cereali proveniente dai due Paesi si è interrotto, aumentando così la domanda internazionale e, di conseguenza, anche il prezzo di tali beni sul mercato locale. Sebbene la guerra tra i due Paesi possa aver contribuito al raggiungimento degli attuali picchi, l’aumento del prezzo dei cereali è un fenomeno che è possibile riscontrare anche nei mesi precedenti allo scoppio del conflitto.

Dunque, una volta presa visione dei dati, è possibile affermare che il rincaro dei prezzi non è dovuto solo alla guerra in corso ma anche ad altri fattori contingenti. Tra questi possiamo citare il disastroso raccolto canadese del 2021 (il Canada fornisce all’Italia il 46% di tutto il grano importato) e la scelta degli agricoltori italiani di puntare maggiormente sulla qualità del prodotto piuttosto che sulla quantità.

L’analisi completa di Luca Ricolfi e Fondazione Hume correlata dal commento a cura della redazione de La Ragione sono disponibili sul numero di oggi del quotidiano e per sempre gratuitamente sull’ app e sito web www.laragione.eu.

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