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Cibo insufficiente per 1 bimbo su 7, situazione peggiora con pandemia

04 novembre 2020 | 08.39
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Cibo insufficiente per 1 bimbo su 7, situazione peggiora con pandemia

Un bambino italiano su 7 vive in una situazione di insicurezza alimentare, ovvero le famiglie non sempre possono permettersi un’alimentazione sana e bilanciata e spesso il criterio di acquisto è il prezzo del prodotto, col risultato di diete poco varie e a base di cibo di qualità inadeguata. Più a rischio i bambini del Sud, con famiglie numerose, genitori poco istruiti e giovani e con reddito basso. Inoltre si stima che per un bambino su 5 la famiglia di appartenenza viva nel timore di non avere soldi a sufficienza per acquistare il cibo fino alla fine del mese. Nella metà di questi casi, le famiglie non hanno realmente avuto risorse finanziarie sufficienti per acquistare cibo.

Sono i dati principali emersi da uno studio condotto dal gruppo di ricerca del Dipartimento di scienze della vita e Sanità pubblica dell'Università Cattolica, sotto la guida dei docenti dell’Ateneo del Sacro Cuore Walter Ricciardi, ordinario di Igiene generale e applicata, e Maria Luisa Di Pietro, Associato di Medicina Legale, e il coordinamento scientifico della professoressa Chiara de Waure, associato di Igiene all’Università degli Studi di Perugia e Drieda Zace, dottoranda in Scienze biomediche di base e Sanità pubblica all’Università Cattolica, anche grazie alla collaborazione di alcuni pediatri di libera scelta dell’Associazione Culturale Pediatri. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista 'Food Security'.

"Il dato - spiega Di Pietro - potrebbe essere addirittura una sottostima, in quanto lo studio - unico nel nostro Paese, sulla condizione economica, sull’accesso al cibo e sullo stato di salute dei bambini italiani, non è stato esteso ai sobborghi disagiati dove sicuramente sono maggiori i disagi socio-economici delle famiglie. Inoltre, poiché gli esperti si sono serviti dell'Indice Household Food Security, che analizza, in modo anche molto "crudo", la situazione economica delle famiglie e le ricadute sull'acquisto del cibo alcuni dei partecipanti potrebbero avere riportato in maniera ‘edulcorata’ la propria situazione per imbarazzo. Lo studio ripota dati sul periodo 2017-2018, dunque la situazione potrebbe essere peggiorata considerando la situazione di pandemia di Covid-19 e la crisi economica che il Paese sta attraversando, sottolinea Di Pietro.

"C’è anche il rischio – continua Di Pietro - che con la chiusura delle scuole durante il lockdown e quindi con il mancato accesso alle mense scolastiche, che comunque sono garanzia di un pasto completo ed equilibrato per i bambini, l'insicurezza alimentare per i piccoli, specie se provenienti da contesti disagiati, può essere aumentata", conclude. Lo studio, che ha stimato la prevalenza dei bambini italiani che vivono in una situazione di insicurezza alimentare, i fattori socio-economici ad essa associati e l’impatto sullo stato di salute dei piccoli, si è concluso nel 2019 ed ha preso in esame 6 macro aree italiane: Lombardia (Milano), Lazio (Roma), Marche (Jesi), Campania (Caserta), Puglia (Brindisi, Lecce), Sicilia (Palermo). Sono stati inclusi solo bambini tra 1 e 11 anni, nati in Italia, con genitori di nazionalità italiana, seguiti regolarmente da un pediatra di libera scelta.

Su un campione di 573 bambini, si è evidenziato che 1 bambino su 7 vive in una situazione di insicurezza alimentare. Le macro aree risultate più critiche sono state in ordine decrescente la Campania (Caserta) e, a breve distanza, il Lazio (Roma) e la Sicilia (Palermo). Vivere nel Sud Italia, in famiglie numerose, con un reddito basso, genitori di giovane età e con basso livello di istruzione sono risultati i fattori predittori più frequenti di insicurezza alimentare. "Lo studio mette probabilmente in luce solo la punta di un iceberg - avverte Di Pietro - I dati qui ottenuti potrebbero essere una sottostima della situazione reale, anche perché i genitori tendono spesso a nascondere la verità della condizione della famiglia per vergogna. Lo studio non ha, inoltre, coinvolto zone delle città già notoriamente povere in cui senza dubbio l’insicurezza alimentare è più diffusa".

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