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VINI DA COLLEZIONE

Cosa rende un vino un buon investimento?

02 novembre 2022 | 11.23
LETTURA: 4 minuti

Malgrado l’instabilità dei mercati globali, il settore dei fine wines non conosce crisi, è un trend in continua crescita. I parametri da considerare per riconoscere un vino da collezione secondo Oeno Group.

Cosa rende un vino un buon investimento?

Non si tratta solo di collezionismo, investire nei fine wines non è solamente un vezzo per chi voglia una cantina invidiabile, ma significa anche capitalizzare denaro in un bene rifugio il cui mercato non è scalfito dall’attuale instabilità dei mercati e che anzi attira sempre più investitori. Se ne è parlato largamente la scorsa settimana a Siena, durante l’evento Be.Come, Understanding present to reshape the future, dedicato ai vini d’eccellenza italiani che ha visto anche la collaborazione di Oeno Group - dal 2015 gruppo internazionale leader nel settore degli investimenti enologici - con la partecipazione dei Master of Wine Justin Knox, Wine Director Oeno Group, e Gabriele Gorelli, Brand Ambassador Oeno Group per l’Italia .

Un trend in crescita

Ne avevamo già parlato più diffusamente qui: malgrado la generale instabilità attuale dei mercati, il settore dei fine wines non è scalfito dalle incertezza, e continua ad essere un trend in crescita, in particolare in Italia e tra i giovani.

Lo dimostrano i dati di Liv-ex 100, l'indice che monitora l’andamento dei prezzi dei 100 vini più pregiati e ricercati sul mercato secondario, che negli ultimi due anni è cresciuto addirittura del 36,7%, con una sola lievissima flessione dello 0,3% lo scorso luglio, per poi tornare in crescita ad agosto e settembre scorsi, dimostrano come la crisi globale influisca solo marginalmente sul settore. L’indice italiano mostra una crescita continua del valore di mercato dei suoi vini più pregiati, che si attesta al 15,4% nell’ultimo anno, del 29% nel corso degli ultimi 2 anni e addirittura del 48% se si considera un arco temporale di 5 anni. Anche la quota di mercato internazionale dei fine wines italiani è salita dall'8,8% nel 2019 al 15,1% nel 2020 e al 15,4% nel 2021, stabilizzandosi all’11,8% nel 2022.

Fattori di collezionabilità

Ma cosa fa di un vino un buon investimento?

A questa domanda hanno risposto durante una masterclass tenutasi lo scorso lunedì 24 ottobre nella suggestiva cornice del complesso museale di Santa Maria la Scala di Siena i due MW Justin Knox e Gabriele Gorelli condividendo alcuni dei punti chiave che rendono un vino da collezione:

  1. Forte brand identity con riconoscibilità a livello globale del marchio
  2. Capacità del vino di migliorare con il passare del tempo
  3. Produzione limitata
  4. Marcatori di prezzo
  5. Essere tra i migliori vini della regione o dello stile di appartenenza
  6. Potenziale non ancora riconosciuto o realizzato soprattutto in comparazione con prodotti similari
  7. Significativi investimenti da parte del produttore nell’incrementare la qualità dei propri vini

Si tratta non solo di parametri di valutazione - naturalmente da considerare anche separatamente caso per caso - ma anche di spunti di riflessione interessanti sul tema dei fine wines che spesso trascende i dati e i numeri e ha a che fare anche con il mondo del luxury, l’essere o il diventare veri e proprio oggetti di culto.

Questi parametri delineano uno scenario che sostanzialmente è suddiviso in due grandi macro aree: da una parte i brand affermati, dall’altra futuri vini da collezione.

Per le etichette iconiche, leader del settore del collezionismo, il posizionamento e la riconoscibilità del brand a livello globale fa sì che quei vini diventino oggetto di culto, pezzi da collezione, da possedere, degustare e scambiare sul mercato secondario. Si pensi ad esempio a “mostri sacri” come Dom Perignon: tra le icone dello Champagne, con un ottimo potenziale di invecchiamento, è uno degli investimenti “classici” per i collezionisti. In questo caso, come per altri grandi player del settore va considerato un ulteriore aspetto fondamentale: la distribuzione. I grandi distributori che detengono nel portfolio etichette iconiche possono giocare anche sul breve termine suddividendo la produzione in piccole tranche che vengono via via rilasciate sul mercato a prezzo sempre maggiorato. La scarsa disponibilità del prodotto, unita alla sempre forte domanda, scatena un meccanismo di rincorsa che esaurisce via via tutti gli stock disponibili, aumentando ulteriormente il desiderio degli acquirenti di accaparrarsi qualche pezzo.

Dall’altra parte ci sono quelli che potremmo definire i “fine wines to be”, le prossime star del mercato, destinate a loro volta a diventare icone. In questi casi il potenziale ancora non riconosciuto a livello globale a fronte di eccellente qualità e importanti investimenti da parte dei produttori, rendono questa tipologia di vini acquisti estremamente accessibili oggi, con un potenziale di guadagno molto interessante sul medio e lungo termine. E in un decennio come questo, in cui la situazione climatica globale potrebbe modificare gli equilibri produttivi di molte aree, facendo emergere nuove realtà qualitativamente importanti, gli occhi sono puntati anche fuori dalle zone di produzione che si sono già affermate a livello mondiale nel mondo dei fine wines a caccia di nuovi possibili etichette da collezione.

Il quarto punto, il prezzo sul mercato, che sembra il più ovvio è in realtà tra i più interessanti, nonché considerabile come il trait d’union tra le due macro aree delineate. Dietro all’osservazione del posizionamento di un vino in termini di prezzo, si nasconde infatti un concetto essenziale: la capacità del brand e del prodotto di imporre il prezzo e non di adeguarlo alle richieste dei distributori, la sottile e sostanziale differenza tra vendere ed essere comprati che è già uno dei punti fondanti delle grandi etichette da collezione e ciò a cui deve puntare il vino che aspira a ritagliarsi uno spazio nel complesso mondo dei fine wines.
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