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Csel, con Foggia oltre mezzo milione italiani vive in comuni commissariati per mafia

09 agosto 2021 | 09.23
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Immagine di repertorio (Fotogramma)
Immagine di repertorio (Fotogramma)

Oltre mezzo milione di italiani vive in uno dei 44 comuni che è attualmente commissariato per essere stato sciolto per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. A far superare la soglia dei 500mila abitanti è stata la decisione, assunta il 5 agosto dal Consiglio dei ministri, di deliberare lo scioglimento del Comune di Foggia, la cui gestione sarà affidata a una commissione straordinaria che la guiderà per un periodo compreso tra 12 e 18 mesi, con la missione di riportare l’amministrazione sui binari della legalità. A calcolarlo è Csel, il Centro Studi Enti Locali, in un report elaborato per l'Adnkronos.

Si tratta del secondo capoluogo di provincia che, dal 1991 ad oggi, incappa in questo destino. A fare da apripista era stata, nel 2012, Reggio Calabria. A calcolarlo è il Csel, il Centro Studi Enti Locali, in un report elaborato per l'Adnkronos. Globalmente, si è assistito, nello stesso arco di tempo, a 359 scioglimenti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. Ben 70 gli enti che sono stati sciolti più di una volta. Nel corso del 2020 sono state 54 le Commissioni straordinarie che hanno amministrato i 52 Comuni (popolazione complessiva di 704.728 abitanti) e le due Aziende sanitarie provinciali (Asp) che erano colpite da questi provvedimenti.

Attualmente è la Calabria a detenere il triste primato del maggior numero di enti commissariati: 15 Comuni più una Asp. Seguono la Sicilia, con 14 amministrazioni, la Puglia con 7 e la Campania con 6. Ferme a quota uno le due regioni che potrebbero essere definite “outsider” rispetto al terreno in cui è stata storicamente radicata la criminalità organizzata. Si tratta della Basilicata che ha assistito lo scorso aprile alla proroga dello scioglimento del consiglio comunale di Scanzano Jonico, in provincia di Matera, e della Valle d’Aosta. Quest’ultima è l’unica Regione settentrionale in cui un ente sta facendo attualmente i conti con una gestione commissariale ma non è stata la prima.

Lo scioglimento del consiglio comunale di Saint Pierre, disposto nel febbraio del 2020 e successivamente prorogato, come ricorda il Viminale nella relazione sulle attività delle Commissioni presentata il 19 maggio 2021, è il “nono provvedimento dissolutorio disposto nei confronti di un comune del nord del nostro Paese ed il primo cha ha interessato la menzionata regione e segue i provvedimenti di scioglimento disposti per i comuni di Bardonecchia (Torino 2 maggio 1995); Bordighera (Imperia 24 marzo 2011, provvedimento successivamente annullato in sede giudiziale); Ventimiglia (Imperia 6 febbraio 2012, provvedimento successivamente annullato in sede giudiziale); Leinì (Torino 30 marzo 2012); Rivarolo Canavese (Torino 25 maggio 2012); Sedriano (Milano 21 ottobre 2013; Brescello (Reggio Emilia 20 aprile 2016); Lavagna (Genova 27 marzo 2017)”.

Secondo il Ministero dell’Interno si tratta della conferma di una tendenza verso la “delocalizzazione mafiosa” che si sta ormai attestando da diversi anni. Le cosche mafiose starebbero progressivamente spostando le proprie mire verso Comuni che presentano situazione economiche “vantaggiose”. Anche negli enti del nord Italia, così come altrove, l’infiltrazione e il condizionamento della criminalità organizzata si sono concentrati principalmente nei settori relativi agli appalti pubblici e all’urbanistica. Le commissioni sono chiamate a tentare di rimettere in carreggiata queste amministrazioni “deragliate” e tra le loro facoltà c’è anche quella di decidere, in deroga alle norme vigenti, di assegnare temporaneamente, in posizione di comando o distacco, del nuovo personale amministrativo e tecnico.

Un passaggio spesso indispensabile per raggiungere l’obiettivo di ripristinare le regole posto che, come evidenziato dal Viminale nella citata relazione, “le diffuse irregolarità riscontrate, certamente ascrivibili anche alle condotte dei funzionari e dirigenti locali, hanno messo in luce una generale compromissione dell’azione amministrativa che si è discostata sempre più dai principi di legalità e di trasparenza, riflettendosi poi sulla regolarità e sull’efficienza nell’erogazione dei servizi destinati alla cittadinanza. In altri termini, è stata rilevata una diffusa trascuratezza nella tutela dell’interesse pubblico, attribuibile in parte all’operato del personale ma, soprattutto, alla responsabile inerzia o alla tacita connivenza degli organi politici che, nella generalità dei casi, non hanno esercitato le funzioni loro proprie di controllo e di direzione politico-amministrativa, lasciando spazio ai sodalizi e agli interessi della criminalità organizzata”.

Lo Stato si è fatto carico di oltre 50 milioni di euro in 4 anni per aiuti piccoli Comuni per realizzare opere pubbliche

A questo strumento si affiancano anche risorse economiche specifiche, pensate per aiutare questi territori a rialzarsi. Un esempio su tutti sono le “anticipazioni di cassa per far fronte al pagamento di spese indifferibili”, previste dall’art. 243-quinquies del Testo unico degli enti locali. Praticamente dei prestiti che lo Stato fa ai comuni che, oltre ad essere stati sciolti per infiltrazioni, presentino degli squilibri strutturali di bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario. Queste risorse, da restituire nei successivi 10 anni, possono essere destinate unicamente alla copertura di spese fondamentali, che non possono essere rimandate: retribuzione del personale dipendente, pagamento di rate di mutui o prestiti obbligazionari e copertura dei servizi locali indispensabili.

Nel triennio 2017-2019 sono stati 8 i Comuni che vi hanno fatto ricorso (Trentola Ducenta, Corleone, Scafati, Lamezia terme, Brancaleone, Scilla, Briatico e Vittoria). Complessivamente sono stati loro assegnati poco meno di 36 milioni di euro. La Finanziaria del 2017 ha inoltre istituito un Fondo, da 5 milioni di euro annui, destinata a consentire – a partire dal 2018 - la realizzazione e la manutenzione di opere pubbliche negli enti locali che si trovino nella condizione di scioglimento ai sensi dell’art. 143 del Tuel. Vi hanno fatto ricorso 44 comuni nel 2018, 41 nel 2019, 35 comuni nel 2020. L’ultimo provvedimento è stato reso noto lo scorso 7 luglio e ha ripartito le risorse 2021 tra 41 comuni.

Sia nel 2019 che nel 2020 ai 5 milioni di euro previsti ordinariamente sono state affiancate risorse aggiuntive, reindirizzate da altri capitoli di spesa, che hanno portato ad assegnare ulteriori 14 milioni e 76.940 euro per il 2019 e 17.615.048 per il 2020. Complessivamente, quindi, lo Stato si è fatto carico di oltre 50 milioni di euro (51.691.988) in 4 anni per consentire, soprattutto ai piccoli Comuni finiti nel mirino della criminalità organizzata, di poter realizzare opere ritenute fondamentali per la propria comunità. I meccanismi di riparto di queste risorse tendono a privilegiare gli enti di minori dimensioni posto che il 60% delle risorse è destinata agli enti con meno di 15.000 abitanti.

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