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Simoni: "I miei personaggi verso il grande schermo"

18 dicembre 2016 | 14.41
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Particolare della copertina de 'Il Marchio dell'Inquisitore' (Einaudi) di Marcello Simoni
Particolare della copertina de 'Il Marchio dell'Inquisitore' (Einaudi) di Marcello Simoni

I personaggi di uno degli autori italiani contemporanei di maggior successo e più profilici, il Marcello Simoni autore, fra l'altro, della Trilogia del Mercante di Reliquie, della Codice Millenarius Saga e del recentissimo 'Il Marchio dell'Inquisitore', potrebbero lasciare a breve la pagina stampata per raggiungere lo schermo. "Romanzi come 'Il Marchio dell'Inquisitore' e 'L'abbazia dei cento peccati' hanno suscitato l'interesse di produttori cinematografici, con loro sta iniziando il gioco a rimpiattino. Portarli al cinema per me non è una necessità ma ammetto che mi incuriosisce", ha detto Simoni all'Adnkronos.

Del resto i romanzi dell'ex archeologo e bibliotecario di Comacchio, "ma sono cose, mestieri, che ti porti dentro ancora prima di farli e che ti restano dentro anche se non li eserciti più", sottolinea lui, sono 'cinematografici' già sulla carta: "In effetti sono appassionato di cinema e tv quando scrivo più che altro descrivo un film che sto vedendo nella mente", afferma lo scrittore sottolineando poi che la passione per la scrittura risale all'infanzia e che allora andava di pari passo con quella per il disegno, una commistione che ricorda le sceneggiature a fumetti di Federico Fellini.

Dall'esordio nel 2011 con 'Il mercante di libri maledetti', che gli fa vincere il Bancarella 2012, Simoni ha pubblicato 10 titoli, senza contare i 14 racconti dal 2010 ad oggi. Tutti di ambientazione storica, tutti best seller con la tendenza a diventare long seller agevolata dalla serialità, con protagonisti che attraversano più di un titolo.

Il romanzo d'esordio di Simoni è ambientato nel 1200 e l'ultimo, 'Il Marchio dell'Inquisitore' nel 1600, come dire cinque anni di romanzi per avvicinarsi al presente di quattro secoli. Un percorso che continuerà? "Il presente mi annoia: per me la scrittura è un'isola di salvezza, un luogo dal quale chiudere fuori il tran tran quotidiano e i suoi fastidi. Mi piace rifugiarmi in dimensioni storiche", scandisce lo scrittore.

"Anche i delitti del presente mi sembrano banali, ripetitivi, sia quando sono legati al crimine sia quando derivano da una follia individuale - prosegue Simoni - mi piace costruire situazioni nelle quali, complice l'ambientazione storica, posso raccontare di assassini molto razionali che inscenano i loro delitti, che propongono una simbologia che abbia lo stesso potere semiotico di un tarocco". Non è un caso, quindi, che in 'Il Marchio dell'Inquisitore' (Einaudi) la Roma del Giubileo del 1625 veda l'omicidio di un religioso che sembra ispirato alla danza macabra incisa su un opuscolo di contenuto libertino. Sul caso viene chiamato a investigare l’inquisitore Girolamo Svampa, nominato commissarius dagli alti seggi della curia capitolina.

Svampa, già promette Simoni, tornerà in un prossimo volume, sempre per Einaudi, mentre per la Newton Compton, con la quale ha pubblicato tutti i suoi libri tranne l'ultimo, sta lavorando a un romanzo con al centro un ladro nella Firenze medicea.

"Riesco a scrivere un romanzo ogni otto mesi circa, e quasi sempre mentre lavoro ad uno, durante la documentazione o la stesura, compare qualcosa, un fatto, un personaggio, una suggestione che non si usa ma che non si dimentica, si mette da parte con la sensazione che la si userà in un secondo momento -spiega Simoni- il romanzo che viene dopo è sempre quello che esorcizza quel che si è scritto subito prima". Come dire che prima ancora di poggiare la penna già inizia a tratteggiare la sua prossima fatica di autore.

E' evidente, nei temi, nelle ambientazioni, nei dettagli filologici, il travaso che Simoni ha fatto del suo background di bibliotecario e archeologo nelle sue creazioni di scrittore, e quanto ai 'maestri' lui stesso ha sempre riconosciuto la fascinazione per 'Il nome della rosa' di Umberto Eco: "Un autore verso il quale non solo io ma ogni narratore degli ultimi venti anni, in ambito storico o giallistico, ha enormi debiti. Il suo 'Il nome della rosa' è una porta spalancata e attrverso ci siamo passati in tanti", afferma lo scrittore.

"In 'Il marchio dell'Inquisitore' siamo nella Roma barocca di San Pietro senza ancora il colonnato del Bernini, dei vicoli che formavano un reticolo, un labirinto di incognite e di pericoli a ridosso di magnifici palazzi nobiliari. Nel romanzo c'è un labirinto vero e proprio costituito da caratteri tipografici, un labirinto che è anche ideologico. A punteggiarlo tipografi e tipografie i cui nomi, le cui ubicazioni sono tutte vere e documentate", conclude Simoni riunendo così la sua passione per la storia, il suo passato di bibliotecario, e un ennesimo rimando a 'Il nome della Rosa'.

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