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Intercettazioni con virus Trojan, Cassazione dice sì ma solo in processi mafia e terrorismo

29 aprile 2016 | 14.21
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Intercettazioni con virus Trojan, Cassazione dice sì ma solo in processi mafia e terrorismo

Le intercettazioni effettuate mediante virus 'Trojan horse' possono essere utilizzate pienamente come prova anche nei luoghi di privata dimora, ma solo ed esclusivamente nei processi di mafia e terrorismo, non in quelli per reati che non rientrano nella categoria della criminalità organizzata. Lo ha stabilito la Cassazione a sezioni unite penali accogliendo in pieno la tesi sostenuta dai pg Nello Rossi e Antonio Balsamo.

Con questa decisione, dunque, la Cassazione si è allineata alle richieste dall'avvocato generale Nello Rossi e del sostituto procuratore generale Antonio Balsamo che nella loro memoria scritta avevano rilevato come "il 'rischio' di dare vita ad una pluralità di intercettazioni tra presenti in luoghi di privata dimora del tutto al di fuori dei cogenti limiti previsti dalla normativa codicistica è altissimo e si profila come incompatibile con la norma della legge ordinaria oltre che socialmente intollerabile in uno Stato di diritto, risolvendosi in una lesione delle norme della Costituzione e della Convenzione europea (che possono dirsi realmente rispettate solo quando legislatore e giudici concorrano , ciascuno nel proprio ruolo, a porre alle intercettazioni limiti osservabili e rispettosi del principio di proporzione)".

Nella memoria, Rossi e Balsamo ricordavano quindi che "la sanzione è riservata a gravi patologie degli atti del procedimento e del processo mentre nell’ipotesi qui in discussione essa dovrebbe essere contemplata, con una evidente torsione, come mezzo per riequilibrare gli effetti di una fisiologia distorta e 'contra legem' , rappresentata dall’adozione di provvedimenti giudiziari dagli effetti imprevedibili e incontrollabili a priori nella loro conformità alla legge". Considerazione, questa, hanno sostenuto nella memoria che ha trovato d'accordo i giudici di Cassazione riuniti nel loro massimo consesso, che "esime dall’affrontare qui il tema spinoso, ma in un’ottica realistica non irrilevante, della possibile divulgazione, ben prima di ogni declaratoria di inutilizzabilità, dei contenuti di intercettazioni destinate ad essere successivamente dichiarate inutilizzabili".

"Rischio che non può ancora dirsi scongiurato nonostante i significativi ed impegnativi atti di autoregolamentazione adottati da importanti uffici giudiziari, le iniziative in atto, nel circuito del governo autonomo della magistratura, per generalizzarne l’applicazione e le prospettive di interventi legislativi in materia", hanno evidenziato nella memoria Rossi e Balsamo. "Queste considerazioni sui dati normativi e fattuali appaiono di per sé sufficienti a negare legittimità al ricorso a virus informatici nell’ambito delle intercettazioni per reati diversi da quelli di criminalità organizzata ed a fornire altrettante risposte negative alle prime due questioni poste dall’ordinanza di rimessione", è stata l'ulteriore considerazione.

Considerazioni valide "almeno sino a quando non sarà tecnicamente provato che il captatore informatico può essere predisposto ed utilizzato con modalità tali da svolgere captazioni sonore 'esclusivamente' quando il soggetto intercettato si muova in luoghi pubblici o aperti o nel proprio domicilio , individuato come luogo di attuale svolgimento delle attività criminose (ad es. attraverso l’impiego combinato di un preciso servizio di localizzazione satellitare e di un correlato meccanismo di attivazione del captatore solo nei luoghi pubblici o nel suo domicilio) - hanno evidenziato Rossi e Balsamo -. Un tale uso della tecnologia captativa consentirebbe infatti di ricondurre l’impiego del nuovo strumento di intercettazione nell’alveo delle norme in vigore, permettendo di rispettare le rigorose coordinate tracciate dal codice di rito in materia di intercettazioni nei luoghi di privata dimora".

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