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Museo di Pisa acquista 'Cristo e la Samaritana al pozzo' di Artemisia Gentileschi

17 novembre 2022 | 15.17
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Sottoposto al restauro, il dipinto ha rivelato la firma della pittrice

Museo di Pisa acquista 'Cristo e la Samaritana al pozzo' di Artemisia Gentileschi

Il Museo di Palazzo Blu a Pisa si arricchisce di una splendida tela di Artemisia Lomi Gentileschi (1593-1654) di grandi dimensioni - quasi tre metri d'altezza - in uno straordinario stato conservativo, dipinta durante il lungo e produttivo soggiorno napoletano della celebre 'pittora' (1630 - 1654). Il dipinto "Cristo e la Samaritana al pozzo" è stato acquistato dalla Fondazione Pisa per il museo, che da venerdì 18 a domenica 20 novembre sarà visitabile gratuitamente a Palazzo Blu, per poi venire inserito in collezione permanente.

Identificato anni fa da Luciano Arcangeli, il "Cristo e la Samaritana al pozzo" fu valorizzato in occasione delle due importanti rassegne sulla pittrice romana curate da Roberto Contini e Francesco Solinas, a Milano nel 2011 e a Parigi nel 2012. L'opera è stata acquistata dalla Fondazione Pisa nella tarda primavera di quest'anno e sottoposta ad un accurato intervento di pulizia e restauro condotto da una squadra di restauratori guidati da Cinzia Pasquali, con Elisa Todisco, Elena Burchianti ed Enrico Rossi. L'intervento ha svelato nuove scoperte, come la firma autografa dell'artista.

Dipinto a Napoli dalla prodigiosa artista di origini pisane tra il 1636 e il 1637, il quadro passò nelle raccolte napoletane e siciliane dei nobili Ruffo prima del 1680 il dipinto raggiunse a Palermo la prestigiosa collezione del Duca di Sperlinga e dei suoi eredi, dov'è rimasta sino al XX secolo. Identificata nel 2004 da Luciano Arcangeli, la vasta tela (cm 261 x 203) è stata esposta, con scheda dello stesso studioso alla monografica dell’artista a Milano, a Palazzo Reale nel 2011.

Il dipinto è descritto nei dettagli (iconografia e dimensioni) dalla stessa Artemisia Gentileschi in ben due lettere dell'autunno 1637 indirizzate al cavalier Cassiano dal Pozzo, il suo illustre estimatore e protettore alla corte di Roma. Tramite il cavaliere, l'artista offriva la Samaritana ai fratelli cardinali Francesco e Antonio Barberini, nipoti del papa regnante Urbano VIII; tuttavia, il grande quadro non fu mai acquisito dai prelati e rimase nella bottega napoletana dell'artista sino alla sua vendita, probabilmente dopo il ritorno dell’artista da Londra, nella primavera 1641.

Opera rara, documentata sin dalla sua creazione - come solo alcuni dipinti relativi al soggiorno fiorentino della pittrice (1613 - 1620) -, il "Cristo e la Samaritana al pozzo" vanta uno straordinario pedigree collezionistico attentamente ricostruito dalle ricerche della brava Angheli Zalapì negli archivi siciliani. Censita già nel 1680 nell'inventario post mortem dell'imprenditore e uomo d'affari genovese Giovanni Stefano Oneto (circa 1616-1680) primo duca di Sperlinga, l’opera è stata rintracciata nelle raccolte di quella famiglia e dei suoi eredi sino al XX secolo.

Nel quadro di Artemisia, l'ardente resa della parabola evangelica di Giovanni (versetti 4,5-42) riporta inevitabilmente all'intensa religiosità della Riforma cattolica, a quella devotio moderna basata sullo straordinario realismo imposto in pittura dal Caravaggio qualche decennio prima. Artemisia interpreta l’incontro con emozionata partecipazione, come un canto all’amore ispirato dalle parole del Cristo: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna".

L'attenta pulitura del dipinto è stata affidata a una squadra di eccellenti restauratori pisani composta da Elisa Todisco, Elena Burchianti ed Enrico Rossi. Con agio i tre giovani maestri si sono misurati con l'arte di Artemisia anche grazie alla preziosa consulenza dalla bravissima Cinzia Pasquali, ormai esperta della pittura della Gentileschi, dopo anni di esperienze sulle sue tele. Lungo e meticoloso, il restauro ha rivelato una qualità pittorica sbalorditiva liberando il dipinto da vecchie vernici ossidate e da ritocchi debordanti.

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