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Made in Italy

Se la moda passa in mani straniere il design resta in Italia

20 settembre 2016 | 15.04
LETTURA: 8 minuti

Nella foto Roberto Maestroni, Senior Principal di Investindustrial
Nella foto Roberto Maestroni, Senior Principal di Investindustrial

di Maria Elena Molteni

Per tre aziende del design italiane passate in mano straniera, 14 della moda hanno la testa all'estero. L'equazione, non matematica né esaustiva, rende l'idea di come si stanno muovendo nella globalizzazione i cavalli di battaglia del made in Italy. Se nel 2014 il gruppo Poltrona Frau che comprende, oltre all’azienda di Tolentino, anche Cassina e Cappellini, è stato acquisito da parte della multinazionale del mobile americana Haworth, non ci sono altre operazioni di rilievo in questo senso. Svariate invece nel fashion: nel portafoglio del colosso del lusso francese Kering le italiane Gucci, Dodo, Pomellato, Bottega Veneta, Brioni. A Lvmh, il gruppo capitanato da Bernard Arnault, sono andate Fendi, Emilio Pucci, Bulgari, Acqua di Parma.

Recentemente Costume National è finito nelle mani del fondo nippo-cinese Sequedge, che ne deteneva il 33% dal 2009. Krizia è passata ai cinesi di Marisflog Fashion. Valentino a Mayhoola Investments (braccio finanziario della famiglia reale del Qatar); Gianfranco Ferrè a Paris Group (Dubai); la maggioranza di Corneliani agli arabi di Investcorp. Qualcuna torna italiana, come Sergio Rossi che è stata riacquistata in toto da Investindustrial il fondo che fa capo ad Andrea Bonomi. Nel mondo del design Italian Design Brands ha acquisito Gervasoni e Meridiani e si prepara a una prossima acquisizione “entro inizio 2017” dice all’Adnkronos l’ad Giorgio Gobbi. Italian Creation Group ha rilevato Driade, Valcucine e Fontana Arte e, annuncia l’ad Stefano Core anche, Tosco Quattro.

Investindustrial qualche giorno fa ha aggiornato il suo portafoglio con una nuova acquisizione, il brand di cucine alto di gamma Arclinea, che si aggiunge a Flos, Ares e B&B (per quanto riguarda il segmento design). Progressio sgr, operatore di private equity, si è aggiudicata invece Giorgetti. E poi Boffi, che lo scorso anno ha rilevato la milanesissima De Padova. Insomma tante operazioni tutte, per ora, made in Italy.

Roberto Maestroni, Senior Principal di Investindustrial, evidenzia che "il settore del design non è diverso da molti altri settori di eccellenza italiani, dove la dimensione di molte imprese è limitata. Con mercati sempre più complessi e con la necessità di vendere su scala globale, è ovvio che la dimensione aziendale è sempre più un limite alle possibilità effettive sia di creare marchi globali, sia di poter vedere queste aziende svilupparsi e crescere in maniera significativa”. Ma come si supera questo limite? Tre gli scenari possibili secondo Maestroni. Gli imprenditori possono “vendere a gruppi internazionali più grandi, ma fino ad oggi ci sono pochi esempi significativi nel mondo del design, come Haworth con il gruppo Poltrona Frau, oppure “vendere o aggregarsi con altre aziende italiane, opzione più complessa dato che in questo settore quasi tutte le imprese sono familiari”. Terzo scenario, aprire il capitale a un investitore e in questo caso le ipotesi sono due: si può scegliere un investitore finanziario, o “un modello totalmente diverso, che è quello che da anni persegue Investindustrial, non soltanto nel design.

"Esistono una serie di iniziative che sono partite tutte puntando a fattore comune, dal momento che le aziende medio-piccole, per definizione, devono assumere dimensioni più grandi per lavorare a strategie di medio termine. Sono tanti i progetti partiti, pur con anime diverse". Così Giorgio Gobbi, amministratore delegato di Italian Design Brands, proprietaria, ad oggi, dei marchi Gervasoni e Meridiani. E a breve, ma comunque non prima di gennaio 2017, procederà all'acquisizione di un terzo marchio. Il consolidamento del settore, secondo Gobbi, subirà "una accelerazione, come accaduto tempo fa nel mondo della moda. Tanti sono gli imprenditori che non immaginavano che questa sarebbe stata la direzione. Oggi esistono alcuni fattori che aiutano in tal senso. Molti mercati non stanno più correndo, come quello russo, ad esempio, e hanno tolto benzina a basso costo".

Per Stefano Core, amministratore delegato di ItalianCreationGroup, holding industriale nata nel 2013 e fondata dallo stesso Core e Giovanni Perissinotto, il tema tutto italiano della dimensione è dirimente. "Quando le aziende raggiungono l’eccellenza poi subiscono una battuta d'arresto, un blocco. Le imprese italiane, molto improntate al prodotto e all’eccellenza, tralasciano le possibilità dello sviluppo internazionale. Spesso anche la scelta dei manager non è coerente con il salto dimensionale che l'azienda deve compiere". Insomma non bastano i manager, secondo Core. "Per avere un'azienda di successo ci vogliono tre caratteristiche: il brand, la distribuzione e il prodotto. Se almeno due dei tre elementi ci sono, bene. Altrimenti aumenta il rischio di andare incontro ad un fallimento. Si può avere il più bel prodotto al mondo ma se non ci sono distribuzione e brand è molto difficile farlo conoscere. Del resto, il mondo è pieno di bei prodotti. Ciò che agevola il successo è l'integrazione tra le aziende, la possibilità di attivare sinergie soprattutto sulla distribuzione. Così, se un'azienda ha buon brand e un bel prodotto, ma non ha distribuzione, entrando a fare parte di un gruppo beneficia dell’asset distributivo".

Sulle possibilità che il settore possa essere oggetto di un’accelerazione verso il consolidamento, "non mi aspetto un’esplosione del mercato nei prossimi due anni - confessa - ma spero che qualcuno come noi capisca che questo mercato è ricco di grandi perle e le acquisisca o le doti delle risorse necessarie per essere più internazionali. Noi siamo molto orientati verso il mercato internazionale che ha maggiori margini di crescita: Usa, Sud Est asiatico, Giappone e Middle East. Si tratta di potenziali di crescita enormi rispetto alle dimensioni delle aziende italiane.

Intanto, dopo l'acquisizione di Toscoquattro, ItalianCreationGroup guarda avanti: "immaginiamo un’altra realtà italiana con un minimo fra i 50 e i 60 mln di fatturato che operi nel segmento interior, divani e sistemi. Non subito, ma, auspichiamo, nei prossimi due anni ". Questa, sommata ai brand già in portafoglio, porterebbe il giro d'affari a "180 milioni di euro circa". A questo punto, "saremmo pronti per la borsa e avremmo così completato il nostro progetto". Il gruppo ha archiviato il 2015 con un giro d'affari di 60 milioni di euro".

Un esempio di azienda che ha acquisito un'altra azienda, mettendo insieme delle eccellenze del design made in Italy, senza passare da fondi, è Boffi che lo scorso anno si è assicurata un marchio storico italiano, De Padova. Autore del deal Roberto gavazzi, amministratore delegato del gruppo. Per lui, quello del design un settore in cui "le acquisizioni fino a cinque sei otto dieci anni fa non erano all'ordine del giorno, era tutto fermo. Le aziende se la cavavano a sufficienza da sole, pur essendo piccole, e si riusciva ad andare avanti, l'imprenditore si divertiva comunque a fare il suo mestiere. Quello che ha cambiato radicalmente lo scenario è stata la crisi del 2008, molto più forte di quanto non si sia mai visto in passato, che ha sconvolto il settore, creando in Italia un mercato debolissimo". Una crisi che, evidenzia Gavazzi, "ha indebolito anche il mercato estero tagliando i distributori in giro per il mondo e dunque riducendo di molto anche le opportunità di sbocco per molte aziende. Questa situazione economica difficile ha obbligato moltissimi marchi o a chiudere o a trovare altre soluzioni".

A fronte di questa situazione, "sono state di necessità realizzate alcune operazioni di private equity o di integrazione industriale. I private equity sono stati un po' meno aggressivi, mentre hanno prevalso operazioni di carattere industriale" fa notare l'ad di Boffi e De Padova, che tuttavia fa notare come "il mercato si è un po' ripreso il settore sta ritornando alle sue caratteristiche precedenti, ovvero dove l'imprenditore si diverte troppo per poter pensare di cedere la propria azienda in virtù di nuove opportunità di crescita o di denaro". Insomma, per Gavazzi quello del design è "un settore che meno di altri ha bisogno di essere consolidato in futuro, anche se queste condizioni di base che ci sono oggi cioè una distribuzione che limita moltissimo lo sviluppo internazionale e obbliga i brand ad aprire i propri negozi, spinge all'integrazione perché per aprire negozi nel mondo devi essere più grande". Insomma "hai bisogno di allearti con altri".

"Il mercato interno comunque rimane troppo debole per poter crescere", ma resta il fatto che "il nostro settore - conclude Gavazzi - ha ancora un'ottima possibilità di crescita e di offrire un contributo allo sviluppo dell'occupazione e del Pil. Ci sono sacche e aree di sviluppo enormi all'estero che possono essere sfruttate molto meglio. Qualità prodotto fantastica, imprenditorialità perfetta, manca capacità distributiva e capacità di acculturare meglio mercato e conoscenza maggiore su mercati americani in primis e poi quelli asiatici che hanno distanza maggiore e richiedono più investimento".

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