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Covid un anno dopo, quando Codogno diventò la Wuhan d'Italia - Lo speciale

19 febbraio 2021 | 11.08
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Il 21 febbraio 2020 l'Italia scopre il primo paziente positivo coronavirus

(Fotogramma)
(Fotogramma)

È il 21 febbraio 2020 quando Codogno, 15mila abitanti nel Basso Lodigiano, si sveglia con le telecamere puntante addosso. La notte prima Mattia Maestri, 38 anni, sportivo, manager, da qualche giorno ricoverato in ospedale, è il primo paziente italiano positivo al coronavirus. Sono ore frenetiche: la stampa circonda l’ospedale, il pronto soccorso viene sigillato poi chiuso, i pazienti che avevano prenotato delle visite rimandati a casa. La cittadina diventa spettrale, le mascherine non si trovano da nessuna parte, il Comune chiude bar e ristoranti e in meno di 72 ore Codogno viene isolata, l’Esercito la circonda: è la Wuhan d’Italia.

Codogno un anno dopo, lo speciale

Tutto il Paese resta col fiato sospeso ma ancora non sa di essersi impantanato nell’emergenza più grande dal Dopoguerra. Il 21 febbraio 2021 Codogno proverà a rinascere dal memoriale dedicato alle vittime, a un anno di distanza dal giorno che ha cambiato le nostre vite per sempre. Un anno che resterà per sempre impresso nella memoria collettiva e nella storia d’Italia

20 febbraio 2020 - Quando tutto ha inizio

A Milano siamo in piena fashion week. Le sfilate si susseguono come se niente fosse, nonostante 20 giorni prima a Roma siano stati trovati i primi due positivi al Covid: una coppia di turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani. Nel capoluogo milanese, nel front row, si notano i grandi assenti: buyer e stampa cinese, per i quali la Camera della moda ha pensato all’iniziativa virtuale ‘China we are with you’. Tutti parlano del nuovo virus ‘cinese’ ma ancora non ci tocca da vicino. In Procura si indaga sul deragliamento del Frecciarossa vicino Lodi, al tg si commentano le partite di calcio e la stagione sciistica. A Codogno, però, Mattia Maestri è ricoverato con una pessima polmonite.

La dottoressa Annalisa Malara, anestesista di turno in terapia intensiva, nel pomeriggio decide di sottoporlo al tampone per il Covid-19. L’esito del test viene comunicato dall’ospedale Sacco a Codogno alle 21. Tutti sono increduli. L’équipe di rianimazione è sotto choc: il test risulta positivo ma Mattia non è mai stato in Cina. E’ però stato a cena da un amico rientrato dall’Asia, racconta la moglie, incinta e positiva anche lei al Covid. Parte la caccia al paziente zero, si cerca in tutto il Lodigiano ma l’amico di Mattia, che avrebbe dovuto essere il ‘paziente zero’ è negativo al Covid. Mattia nel frattempo è intubato e ricoverato in terapia intensiva. Scatta l’allarme ma è forse troppo tardi. Medici e infermieri dell’ospedale che lo hanno curato sono positivi. Il giorno dopo l’ospedale viene chiuso, Codogno sta per essere isolata.

22 febbraio 2020 - Codogno diventa prima zona rossa d'Italia

Mattia è solo il primo caso. Il primo noto, almeno, perché il coronavirus è incontrollato e si è già diffuso a macchia d’olio in tutto il Lodigiano: Casalpusterlengo, Castiglione d’Adda, Fombio, la stessa Lodi. Risultano diversi morti per polmonite. Nella regione accanto, siamo in Veneto, a Vo’ Euganeo esplode un focolaio e c’è la prima vittima italiana. Ormai non c’è più tempo: il governo prova a contenere l’epidemia. Scattano le zone rosse a Vo’ e in dieci comuni del Lodigiano: Codogno, Castiglione d'Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo, e San Fiorano. Vengono chiuse le scuole e i negozi. Le pattuglie dell’Esercito presidiano la zona, formando una cintura di protezione. Nessuno esce e nessuno entra. Il dispositivo blinda oltre 55mila cittadini che vivono nelle aree nelle due regioni.

27 febbraio 2020 - Scatta l'allarme in tutto il Nord

Il coronavirus si abbatte implacabilmente su tutte le regioni del Nord. Il governo chiude scuole, ristoranti, negozi, musei. Ma non basta. Si raccomanda l'uso delle mascherine chirurgiche per uscire di casa ma sono esaurite. Parte l’assalto ai supermercati: file chilometriche anche di notte, in quelli che fanno orario continuato, scaffali di verdura e acqua che si svuotano rapidamente. Il 27 febbraio il virus bussa alla porta del governatore lombardo, Attilio Fontana: la sua segretaria è positiva al Covid, il presidente deve isolarsi, partono le prime polemiche sulle mascherine.

A Milano, intanto, si cerca di andare avanti ma lo spot lanciato dal sindaco di Milano, Beppe Sala, 'Milano non si ferma' contro la paura fa scattare nuove polemiche. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti viene a Milano e si fa fotografare durante un aperitivo quasi a voler allontanare la paura del contagio. Ma il coronavirus non è solo un’influenza come pensano in molti in quei giorni. Al rientro a Roma Zingaretti è positivo mentre a Codogno e in tutta la Lombardia inizia la conta dei morti.

8 marzo 2020 - Tutta la Lombardia è zona rossa

Il coronavirus è incontrollato e miete vittime senza che si riesca a fermarlo: non solo Lodi, la pandemia si diffonde rapidamente a Brescia, a Bergamo. Nella città amministrata da Giorgio Gori le immagini con le bare portate via dall’Esercito fanno il giro del mondo. Non ci sono posti negli ospedali, per le strade si sente solo la sirena delle ambulanze, le terapie intensive sono presto al collasso. La Lombardia realizza posti di rianimazione nei corridoi degli ospedali ma nel frattempo non è più solo un problema lombardo: il virus circola in tutto il Paese. L’8 marzo il governo trasforma la Lombardia in zona rosa, assieme ad alcune province del Veneto: il Nord, locomotiva d’Italia, si ferma.

Lentamente inizia la fase di contenimento: il 10 marzo, meno di tre settimane dall’istituzione della zona rossa, per la prima volta a Codogno non venne registrato alcun nuovo positivo. Mentre però la pressione sugli ospedali inizia ad allentarsi c’è un'altra bomba pronta a esplodere: le Rsa, le strutture per anziani, diventano focolai impazziti. In quelle della provincia di Bergamo, dal primo gennaio alla fine di aprile muoiono migliaia di ospiti. E numeri simili si registrano in tutta la Regione. Man mano che l’epidemia avanza la Lombardia diventava la regione più martoriata d'Italia. Alla fine di aprile 2020, secondo i numeri diffusi dalla Regione, in Lombardia ci sono 14mila morti da Covid. A un anno da quel 21 febbraio la Regione tiene ormai sotto controllo la pandemia ma i numeri sono tristemente raddoppiati. A fine gennaio 2021 il numero totale delle persone morte sfiora quota 27mila.

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